Appunti di viaggio di Pippo Ferraro riordinati e redatti da Simona Bellini


Il mese di Marzo era cominciato da una settimana e il lavoro all’hotel “Du Grand Combin” era piacevole. Sia i clienti dell’albergo che chi frequentava solo il bar sembravano apprezzare molto la mia musica mentre la temperatura mite e le belle giornate che annunciavano l’arrivo della primavera mi esortavano a lunghe passeggiate lungo i sentieri che si snodavano tutt’intorno al paese dove cominciava a sciogliersi la neve. Il lavoro a Verbier non era gravoso e quello era un modo piacevole per ricaricare le batterie dopo i mesi precedenti a St. Moritz che invece erano stati molto impegnativi. Qui i giorni trascorrevano sereni e senza stress.

Dominique era sempre freddamente gentile ma avevo la sensazione che lo fosse in maniera piu’ genuina. Inoltre ero ben voluto dal patron e avevo un buon successo di pubblico. Probabilmente questa atmosfera era influenzata anche dal mio carattere socievole e accomodante.

Durante questo primo periodo avevo scambiato con Sylvie non più di venti parole e mi dispiaceva che una ragazza così carina non facesse assolutamente nulla per risultare meno antipatica. Ipotizzavo due motivi per questo strano atteggiamento: o era del tutto congenito o era parte di una strategia della quale però non capivo lo scopo.

Ogni sera dopo il lavoro faceva sempre una visita al piano-bar ma non si tratteneva che pochi minuti prima di ritirarsi per la notte. Ero incuriosito dalla sua personalità gelida e quindi ogni tanto la osservavo di sfuggita cercando di cogliere nei suoi occhi una qualche emozione che puntualmente non veniva nemmeno minimamente espressa, fino a quando non mi si rivolgeva con un fugace cenno di saluto prima di congedarsi.

Successivamente però accadde qualcosa. Era una giornata molto piovosa e non potendo dedicarmi alle mie passeggiate ristoratrici mi fermai in albergo a poltrire. Le sale erano deserte. Probabilmente i clienti erano a riposare, chiusi in qualche locale a bere vino caldo o andati in città. Sylvie era al banco della reception quale unica presenza vivente all’interno della struttura. Annoiato decisi, abbastanza controvoglia, di scambiare due chiacchiere con la ragazza.

– Tutta questa pioggia non fara’ del bene alle piste.

Quel minimo di competenza me l’ero guadagnata fin dalla mia prima stagione invernale di lavoro a Livigno, dove avevo imparato a sciare fino a livelli elevati di capacità anche se il tennis rimaneva il mio sport preferito.

– Sai sciare?

La sua voce era leggermente più calda del solito e mi stupì non poco.

– Sì, discretamente.

Meglio non esagerare con gente nata in mezzo alle montagne che indossa gli sci ancor prima di saper camminare.

– Se ti fa piacere potremmo andare a sciare insieme.

La sua proposta aumentò ancor più il mio stupore.

– Perche’ no? Questo inverno ho sciato solamente in due occasioni.

Sicuro che ero proprio io ad aver accettato?

Cercai di cambiare discorso

– Sai cantare?

Rise mostrandomi una bella fila di denti bianchissimi e mi resi conto solo in quel momento che era la prima volta che li vedevo.

– Neanche Fra’ Martino Campanaro!

Era inaspettato anche questo slancio di modestia da parte sua.

– Tu invece oltre a suonare benissimo hai una voce calda che mi piace molto.

Stentavo a credere a quelle parole così cordiali e appassionate.

– Ti ringrazio ma mi chiedo come fai a dirlo visto che ti si vede al piano bar solo per pochi minuti ogni sera.

– Ti sento anche da qui e poi anche se non so cantare ho studiato pianoforte per cinque anni. So distinguere una buona musica ed una bella voce.

– Sarei davvero contenta se almeno per una volta tu suonassi e cantassi solo per me.

Ero davvero senza parole quindi dissi la prima cosa che mi venne in mente per interrompere un silenzio che a breve sarebbe diventato molto imbarazzante.

– Guarda ha smesso di piovere.

– Almeno tu puoi uscire, beato te, io devo stare qui fino alle 15.

– Bene, allora andrò fino in piazza a bere un caffè. Vuoi che ti porti qualcosa?

– No grazie. Appena terminato il mio turno andrò anch’io.

Mi sbagliavo o la sua voce era tornata fredda e distaccata?

Con il ristorante dell’albergo chiuso per il pranzo, il servizio al bar era assicurato da un giovane cameriere con poca esperienza. I clienti al mattino erano scarsissimi quindi gli ordini di quei pochi che restavano per prendere il sole sulla terrazza venivano esauditi in maniera soddisfacente. Il barman titolare arrivava alle 15,30 cosi’ da poter accogliere quelli che rientravano dalle varie attività della giornata.

Io invece cominciavo a suonare alle 18,30, ora dell’aperitivo. Il mio programma musicale per certe occasioni prevedeva pezzi di standard internazionale più qualche bossa-nova e alcuni brani jazz di facile presa. Dopo cena il repertorio cambiava ed era anche cantato. Generalmente si trattava di musica d’ascolto ma spesso c’era anche qualcuno che ballava. La clientela tipo era di mezza età, composta prevalentemente di liberi professionisti, imprenditori, commercianti, persone con buona disponibilità economica che potevano permettersi localita’ rinomate come St. Moritz, Crans e anche Verbier. Tuttavia, nonostante qualche limite, avevo la possibilità di incontrare persone di nazionalità diverse e di prendere contatto con usi e costumi tra i più variegati, aspetto che contribuiva in modo importante ad accrescere il mio bagaglio di esperienze e conoscenze. Anche per questo motivo amavo molto il mio lavoro.

La pioggia aveva lasciato il posto ad un pallido sole ma la temperatura restava bassa visti i 1500 metri di altitudine nonostante la primavera imminente. L’hotel era all’ingresso del paese e per raggiungere il centro bisognava percorrere un chilometro scarso con un po’ di pendenza. Era piacevole come passeggiata perché mi permetteva di fare ulteriore movimento. L’odore della pioggia appena caduta era accompagnato da una leggera brezza di montagna mentre le mie scarpe procedevano crepitando, in un silenzio irreale, sull’amalgama di neve ed acqua. Quando il venticello divenne più sostenuto feci ritorno in albergo. Sylvie non era piu’ in portineria cosa che suscitò in me un sottile dispiacere. Il bar cominciava ad animarsi e di lì a poco sarebbero arrivati i primi clienti abituali. Salutai il barman inglese che era già dietro al bancone.

– Come stai Paul?

– Fine Giuseppe, and you?–

– Tutto ok anche per me.

I nostri erano dialoghi a dir poco bizzarri. Io desideravo incrementare la mia comprensione della lingua inglese mentre Paul amava molto sentir parlare in italiano quindi avevamo trovato un compromesso che soddisfacesse entrambi. Ci esprimevamo ognuno nella propria lingua madre. Per noi era subito diventata una piacevole consuetudine anche se non so cosa avrebbe capito qualcuno che avesse assistito alle nostre stravaganti conversazioni.

Paul aveva 30 anni, capelli rossi e corporatura snella nonostante un addome leggermente prominente, attributo molto probabilmente acquisito proprio dietro i banconi dei bar dove da sempre lavorava. Non era molto loquace, almeno ad inizio serata. Verso le 23 cominciava a sciogliersi mentre a mezzanotte conversava più che volentieri, specialmente con quei clienti che non si limitavano nel bere e a cui faceva piacere avere di fronte un barman sulla loro stessa lunghezza d’onda.

I giorni si susseguivano sereni ma anche senza grandi emozioni. Stava per iniziare l’ultima settimana del mio ingaggio a Verbier. Mi aspettava un aprile ben più impegnativo a Lugano, in un albergo a ridosso dell’aeroporto, dove avevo già lavorato in precedenza. La variegata clientela internazionale esigeva particolare concentrazione. Qui era vietato distrarsi in quanto bisognava intuire, momento per momento a causa del ricambio continuo degli avventori, il repertorio più idoneo ma anche il volume della musica più adatto alla situazione. Gli uomini d’affari prediligevano musica tenue a volume medio-basso per poter proseguire le proprie trattative senza essere disturbati, i giovani erano più propensi a ritmi più intensi e volume elevato mentre le coppie preferivano canzoni poetiche. A Verbier era tutto meno stressante per merito della ingegnosa disposizione delle poltrone, posizionate a distanze diverse dagli strumenti, in modo tale che ciascuno fosse in grado di scegliere autonomamente la posizione a lui più congeniale. Ma anche dal fatto che qui i clienti erano più propensi ad assistere ad una vera e propria esibizione musicale peraltro sempre molto gradita.

Verso le 23 facevo sempre una breve pausa nonostante l’orario di lavoro non fosse così pressante. Paul quella sera mi servì subito un drink che mi rinfrescasse la gola dopo qualche ora di canzoni a volte impegnative. La visuale dell’ingresso mi era occultata dal pubblico ora in piedi ma nel leggero brusio, non più sovrastato dalla musica, riconobbi la voce di Sylvie. Stava conversando con alcuni clienti tedeschi e, quando riuscimmo ad incrociare i nostri sguardi, mi sorrise subito ricambiata. Una voce mi distolse da quella che cominciava ad avere il sapore di un’emozione.

– Bravò pour la musique maestrò.

Al mio “merci bien” la coppia di francesi si allontanò mentre veniva sostituita, alle mie spalle da quella, ora carezzevole e morbida, di Sylvie che mi stava sussurrando all’orecchio le stesse parole: “Bravò pour la musique maestrò”…

Mentre un leggero brivido mi percorreva la schiena mi voltai e le chiesi come mai quella sera si stesse trattenendo più del solito. Sentii la mia voce pronunciare quelle parole come se non fosse la mia.

– Ma insomma… sono la figlia del patron, sono libera di restare quanto voglio o devo chiedere il permesso a qualcuno?

Sorrideva di quel sorriso ampio e comunicativo che avevo conosciuto solo da poche ore, mentre il tono della sua voce trasmetteva una vena ironica che mai avrei immaginato Sylvie possedesse.

– Suona “Song for Guy” di Elton John? Ti va?

– Sarà un piacere per me dedicartela.

Non mi aveva chiesto una dedica ma io volevo farlo quindi non mi trattenni.

I capelli lisci e morbidi le accarezzavano dolcemente il collo. Com’era diversa da quando lavorava alla reception! Non aveva indossato la solita camicia bianca e la lunga gonna blu da collegiale e nemmeno la tuta che utilizzava quando aiutava nei servizi. Quella sera le sue movenze eleganti venivano esaltate da una morbida blusa rosa pallido e da una gonna nera ed attillata che le scopriva il ginocchio, rivelando belle gambe tornite ed attraenti. Non l’avevo mai vista così bella.

Solo in quel momento presi coscienza del fatto che quella giovane donna, di soli 21 anni, stava facendo breccia nella pelle, nella mente e nel cuore di un uomo che aveva il doppio della sua età e che, seppur confuso, concluse l’esibizione di quella sera dedicando a lei, silenziosamente, ogni nota del suo pianoforte.


Appuntamento a sabato prossimo per la pubblicazione di un altro capitolo del libro

“Il pianista dall’oblò”