Appunti di viaggio di Pippo Ferraro riordinati e redatti da Simona Bellini


Ecco che l’immagine, prima sbiadita ed evanescente, ora ha preso forma ed è perfettamente a fuoco. Mi trovo catapultato indietro nel tempo, in un elegante american bar con persone che sorseggiano bevande sedute al bancone ed altre che circondano un pianoforte a coda dal quale emerge la melodia di “As time goes by”1. La voce del pianista accompagna le malinconiche note della canzone mentre mi sembra di sentire una voce sussurrare: «Suonala ancora Sam». Avevo sempre sognato di essere il primo attore di una scena come questa ed ora… a quel piano ero seduto io.

«Sono un pianista di piano-bar…» cantava Francesco De Gregori in una sua nota composizione e questa era la professione che sognavo e che mi sono scelto. Fin dagli anni ‘70 ho suonato il pianoforte e cantato nei piano-bar in giro per il mondo, in grandi alberghi, nei più quotati villaggi turistici, in lussuosi ristoranti e sulle navi da crociera. Tuttavia non è stato tutto così semplice e non sono mancati gli anni della gavetta. Nonostante le mie ambizioni fossero altre, fin da quando avevo cominciato a studiare pianoforte, dal 1974 al 1979, ero stato alle tastiere di diversi gruppi che venivano spesso scritturati per allietare le serate dei vacanzieri nei villaggi del Club Méditerranée. Durante le stagioni invernali mi trasferivo quindi in montagna, generalmente in Svizzera, mentre durante l’estate ero nelle località di mare, nel sud Italia o in Corsica. Al termine di questo lungo periodo di formazione e di esperienza sul campo, purtroppo artisticamente non troppo di qualità sebbene il livello dei colleghi musicisti con i quali suonavo fosse decisamente buono, decisi per il salto di qualità. Era il momento di intraprendere la carriera da solista prima di tutto per passare da uno stato di semidilettantismo a quello di vero e proprio professionismo. Quest’ultima metamorfosi, inoltre, avrebbe potuto farmi raggiungere il mio obiettivo iniziale, quello di dedicarmi integralmente al pianobar e anche ottenere compensi più sostanziosi. In realtà ci furono anche altri motivi che mi spinsero a lasciare la vita dei villaggi ma è un piccolo segreto che vi svelerò in seguito.

Il Boeing 747 di Air France si era poggiato dolcemente sulla pista dell’aeroporto caraibico di St. Maarten, dopo un volo di quasi nove ore da Parigi, con un forte ritardo sull’orario previsto. Erano le 23,30 del 22 Novembre 1991, il giorno in cui sarebbe iniziata la mia nuova vita, talmente diversa dalla precedente da farmi rendere subito conto che nulla sarebbe mai stato come prima. Un momento epocale per un singolo uomo come lo sono stati la scoperta dell’America o lo sbarco sulla luna per l’umanità intera. Mi sentivo pieno di meraviglia, come un bambino che vede per la prima volta il mare o il lento fioccare della neve.

Prima di partire ero assolutamente ignaro di dove si trovasse St. Maarten e quindi avevo fatto un’accurata indagine geografica per scoprire che mi sarei recato in un’isoletta delle Piccole Antille, in pieno Oceano Atlantico, all’altezza dell’America Centrale.

– Se le piace il mare questo è il posto che fa per lei.

Al telefono la voce del proprietario del resort-casinò che aveva intenzione di scritturarmi conservava una spiccata flessione siciliana nonostante egli vivesse all’estero da molti anni. Mi chiamò subito Don Peppino, senza sapere che pur chiamandomi Giuseppe, in famiglia Pippo è stato il diminutivo di sempre del mio nome reale. Non so se avesse associato il mio accento campano al mio celebre conterraneo Peppino di Capri ma io lo lessi comunque come un segno favorevole del destino. Del resto anche i motivi per i quali era arrivato a me giocavano a mio favore, strani intrecci di conoscenze e passaparola che in questo mestiere sono una componente vitale.

Tra le mani incerte ora avevo una busta rigida con la sigla del corriere, il fattorino era appena andato via. So cosa avrebbe dovuto contenere ma, ancora incredulo per quell’inaspettato colpo di fortuna, temevo ad aprirlo. Sì, il biglietto aereo era arrivato, inviato dal paradiso terrestre alla volta della mia casa da S.P., il mio novello mecenate. L’emozione non era dovuta tanto al dovermi recare dall’altra parte del mondo, già ero stato a Tokyo e alle isole Maldive, quanto dal momento oscuro che la mia carriera stava in quel momento vivendo. La scelta di mettermi in gioco come solista aveva infatti provocato il blocco degli ingaggi, nessuno conosceva il mio nome. Mi sentivo come in un fossato scivoloso dal quale non riuscivo a risalire. Periodi difficili fanno parte della vita di un artista, infatti ce n’erano stati ed altri ne sarebbero sicuramente arrivati, ma all’epoca non riuscivo a non imputare quel momento nero alla mia decisione che, ogni giorno che trascorreva, mi sembrava essere stata sempre più azzardata.

Facile dunque immaginare il mio stato d’animo con quella busta tra le mani. Era solamente un’illusione o l’ancora di salvezza che aspettavo? La notte buia che stavo vivendo avrebbe trovato il suo faro nella notte?

– Hai idea di dove si trovi questo posto?

E’ il mio amico Fernando a chiedermelo aggiungendo candidamente

– Non devi portare strumenti, vero?

Alle sue parole mi era tornata in mente la seconda telefonata di S.P. che esordì chiedendomi a quanto sarebbe ammontato il mio ingaggio. Non mi era mai capitato di scegliere io stesso la mia remunerazione che sarebbe stata incondizionatamente quella che avrei chiesto. Sicuro che non si trattasse di un sogno?

Inoltre l’ingaggio sarebbe stato a lungo termine, avrebbe incluso l’alloggio in una camera privilegiata dell’albergo e i pasti nel ristorante che avrei potuto scegliere tra la mezza dozzina presenti nel resort e, infine, la mia musica sarebbe stata riservata agli ospiti

dell’hotel e del ristorante nuovo di zecca che S.P. aveva appena inaugurato. L’impegno avrebbe comportato la mia presenza nella hall all’ora dell’aperitivo serale e poi per fine e dopo cena nel ristorante. Tuttavia le sorprese non erano ancora terminate e l’ultima fu quella che mi stupì maggiormente e mi rese davvero euforico.

– Ora mi informi sulla strumentazione di cui avrà bisogno. Mi dica, prendo nota.

Non so se si percepisse che la mia voce tremava. Avevo sempre suonato con quello che trovavo a disposizione e quasi mai si era trattato di strumenti di qualità. Ora potevo scegliere con quali mezzi esprimermi. Una fortissima emozione mi invase. Non si trattava solamente dei sogni di un musicista che diventavano realtà, era la coscienza che finalmente qualcuno si affidava alla mia arte chiedendomi di dare il massimo.

– Visto che devo suonare in due posti diversi, ho bisogno di due pianoforti.

– Ha gia’ un’idea del modello e della marca?

– Certo! Due Baby Grands Yamaha andranno benissimo.

Avevo puntato in alto. Avrei avuto a disposizione un modello di pianoforte a quarto di coda ma con caratteristiche tecniche e dimensioni equivalenti al mezza coda. Un classico strumento da piano-bar ma di qualità fuori del comune, citato perfino in una canzona incisa da Tony Bennett.

Provai ad alzare ancora la posta in gioco.

– Nella hall sarà sufficiente il pianoforte mentre al ristorante dove, oltre suonare, dovrò anche cantare, avrò bisogno di un buon impianto di amplificazione per la voce e di una tastiera elettronica.

– Per l’amplificazione stia tranquillo in quanto i miei tecnici si stanno già occupando della sonorizzazione del ristorante e tutto il materiale che le dovesse occorrere è reperibile sull’isola. Quando lei sarà qui potrà eventualmente scegliere gli amplificatori e i microfoni che riterrà più adeguati. Per la tastiera mi dica marca e modello e la farò arrivare dalla Florida in pochi giorni.

Fui salvato dall’effetto transoceanico delle telefonate intercontinentali dell’epoca, il ritardo col quale la voce arrivava all’altro capo del telefono. Quei pochi istanti mi permisero di riprendermi dalla sorpresa che ad ogni conferma di S.P. mi assaliva.

– Una tastiera E-70 della Roland sarà perfetta.

Era uno strumento fantastico con un suono deciso e cristallino, versatile e quindi perfetto per la musica dal vivo. Uno dei piu’ costosi in assoluto sicuramente al di sopra delle possibilità di molti.

– D’accordo Don Peppino, troverà tutto al suo arrivo. Faccia buon viaggio, l’aspettiamo.

1La canzone più famosa della colonna sonora di “Casablanca”, il pluripremiato film del 1942 con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman in una scena del quale la protagonista invita il pianista a suonarla con la celebre frase citata dall’autore.


Appuntamento a sabato prossimo per la pubblicazione di un altro capitolo del libro

“Il pianista dell’oblò”



“Il pianista dell’oblò”

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