a cura di Guido Mancini


Avvertita la necessità di lasciare qualche documento scritto in vernacolo poggese affinché il nostro dialetto possa avere in futuro un punto di riferimento per la sua sopravvivenza e, valutato che un romanzo nella nostra lingua dialettale presenterebbe molte difficoltà nella scrittura ed ancora di più nella lettura, ho ritenuto opportuno riportare il più possibile alcuni termini dialettali sotto forma di poesie, corredando le stesse della rispettiva traduzione in italiano per facilitarne la comprensione della lettura e di un C.D. per l’espressione fonetica lessicale di mia modesta conoscenza ed una bella “tarantella campagnola” scritta, musicata e cantata.
Questa terza silloge è frutto di riflessioni e considerazioni che prosperano nell’età adulta quando realmente si valuta il vero valore della vita e prosperano in noi quei sentimenti che vorremmo inculcare alle giovani generazioni.
Diceva Pasolini che: “Un popolo senza cultura non ha storia”.
Questo terzo volume completa la trilogia poetica che ha visto la luce il 25 agosto 2012 con la prima raccolta di poesie in vernacolo poggese, dal titolo: “Per non dimenticare” di cui ogni poesia è affiancata dalla traduzione in lingua madre ed a corredo lo specifico C.D. ortofonico e la “Serenata Caccavonese”.
Il nostro dialetto è il filo conduttore tra il passato e il presente, tra l’ex Caccavone e l’odierna Poggio Sannita, ed Il nostro, come ogni altro paese, ha una parlata dialettale specifica sia per la tonalità, l’accentazione, il troncamento e la pronuncia delle parole.

Termini partoriti da una lingua madre che non sempre hanno corrispondenza con l’italiano. (es: vɘsceglia = piccola quercia,vallòcchia = piccola valle, schɘpɘnèlla = trombetta con lamina vibrante, ecc. …).
L’antico nome Caccavone, pur se sostituito con Poggio Sannita, resiste nel tempo e continua a vivere nella parlata popolare e contrariamente alla volontà consiliare dell’epoca i suoi cittadini sono orgogliosi di essere chiamati “Caccavonesi”.
Il secondo libro, a tratti autobiografico, intitolato: – L’eco dei ricordi, pubblicato il 25 agosto 2016, racchiude una serie di
novantacinque componimenti poetici in lingua madre, di cui due serenate musicate.
Anche queste poesie vernacolari, dal linguaggio accattivante e semplice, sono venute alla luce come lieto passatempo e trattano di storie ed accadimenti quotidiani. I versi rimati, lo spirito ironico e la solita morale metaforica riportata nella parte finale di ogni poesia rendono piacevole la lettura ed invitano a prendere in debita considerazione quelli che sono i suggerimenti contenuti. Ai posteri lascio l’ardito compito di tenere vivo il sentimento di promulgazione dei termini vernacolari e l’amore profuso per questa terra.
Sperando di aver reso, attraverso le mie poesie, un valido contributo al paese, auguro ai lettori di farne tesoro e che questo umile lavoro sia di buon gradimento a tutti coloro che nutrono interesse per la nostra lingua e cultura.

“Il dialetto è il DNA di ogni popolo ed ogni popolo deve andarne fiero”

La fonetica dialettale poggese non è di difficile pronuncia, ha un suono piuttosto dolce che tende orientativamente al francesismo. La “ɘ” (e girata) e la (E inclinata) rappresentano la “e” muta che, pur non pronunciandosi, serve a dare alle anteposte consonanti il suono dentale e labiale, es: fetente = fɘtèndɘ, assente = assèndɘ, incidente = ngɘdèndɘ; complimento = chɘmblɘmiéndɘ, tradimento = tradɘmiéndɘ; in alcune parole la lettera “d” va a sostituire la “t” cambiando suono da dentale in palatale, es: contento = chɘndiendɘ, dente = dèndɘ, canta = canda, parente = parèndɘ; analoga cosa dicasi per la lettera “b” e “mb” che prendono il posto delle consonanti “p” e “mp”, es: compare = chɘmbarɘ, campione=cambionɘ, compasso = chɘmbassɘ; passatempo = passatiembɘ; lo stesso discorso vale per la lettera “z” che sostituisce la “s”, es: si gioca = zɘ joca, si dice = zɘ dicɘ, si racconta = z’arracconda, si stordisce = zɘ sctɘrdiscɘ; La “s” davanti alla t assume il suono “sc”, es: disastro = dɘsasctrɘ strada = sctrada, costa = còscta, pista = piscta; in alcune parole le consonanti si raddoppiano dando un timbro più marcato alle stesse in seno alla parola, es: questa è roba riscaldata = chescta è rrobba arrascallata, gigandi = ggɘèndɘ, vien trattato malamente = vè trattatɘ mmalamèndɘ; la lettera “c” si muta in “g” o in “gh” per dare un timbro gutturale alla parola, es: panca = panga, stanco = sctanghɘ, banco = bbanghɘ; manca di giudizio = manga dɘ ggɘdizɘjɘ; la “j”, fricativo linguo-palatale, nella forma dialettale si trasforma in semiconsonante e forma le dittongazioni con la “ɘ”, es: meglio =mègljɘ, olio = uogljɘ, gli dice = jɘ dicɘ, moglie = mogljɘ, giglio =ggigljɘ; figlio = figljɘ, coniglio = chɘnegljɘ; oppure va ad allungare gli armonici della “i” in alcuni casi, es: mia= mija, via = vija, bugia = bbɘscija, Maria = Marija.


Le pagine di “Memorie e Fantasie”

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