di Felice Nicotera


Da pochi giorni è stato riaperto l’Acquario Dohrn di Napoli, dopo una chiusura durata circa sei anni. Questo luogo appartiene alla mia memoria. Con mia moglie, portavamo volentieri i nostri figli, Carlo e Giovanni, in visita, ed ogni volta c’era qualcosa di nuovo, qualche scoperta straordinaria. I ragazzi s’incantavano meravigliati di fronte ad esemplari rari del nostro Mediterraneo.

La Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli fu fondata nel 1872 dal naturalista e zoologo tedesco Anton Dohrn, nato a Stettino (attuale Polonia) nel 1840 e laureato a Berlino in Scienze naturali, per la conoscenza e lo studio della flora e della fauna del mare, essa rappresentò ben presto una delle più autorevoli Istituzioni scientifiche cittadine, affiancando quelle realizzate in epoca borbonica: il R. Orto botanico a via Foria e l’Osservatorio astronomico di Capodimonte.

E’ un’istituzione scientifica ed ente di ricerca tra i più importanti nei settori della biologia marina e dell’ecologia. E’ situata nella Villa Comunale, (tra via Caracciolo e la Riviera di Chiaia), nel quartiere Chiaia e comprende un acquario, il più antico d’Italia,  (e secondo più antico d’Europa, primo tra quelli ancora esistenti). Fu aperto al pubblico nel gennaio del 1874.

Oggi l’acquario contiene circa trenta vasche con oltre duecento specie marine di animali e vegetali, la maggior parte delle quali provengono dal Golfo di Napoli. Periodicamente sono ospitate diverse tartarughe marine, prevalentemente della specie Caretta caretta, recuperate ferite in mare ed in attesa di essere reintrodotte nel loro originario habitat. Nel 1957 fra il primo ed il secondo edificio è stata inserita una nuova sala in cui è stata trasferita la biblioteca.

C’è una vasca riservata alle creature che popolano il canyon Dohrn, depressione che arriva fino a 1000 metri e che si trova una ventina di chilometri al largo di Napoli, e quelli lontani. Ci sono, infatti, anche vasche dedicate a specie tropicali, abitate da pesci dai colori sgargianti e che richiamano l’attenzione sui mutamenti climatici in atto e sulle modifiche che essi determinano nella flora e nella fauna marine. Poi ci sono gronghi, murene, orate, saraghi, seppie, salpe. Pesci che erano comuni nel golfo di Napoli.

Incontrarli oggi, a causa dello sfruttamento eccessivo provocato dalla pesca ed in parte per il deterioramento dell’ecosistema, è meno frequente. In una vasca c’è, naturalmente anche il cavalluccio marino, che è il simbolo dell’Acquario ed è un’altra delle specie che ha subito un calo della popolazione. Come, del resto, i ricci, anch’essi ospiti del nuovo Acquario. Capita di prelevarli dai fondali con leggerezza, con un gesto banale, ma è utile ricordare che esistono limiti ben precisi alla pesca, sia dal punto di vista dei quantitativi sia relativamente ai mesi dell’anno nei quali essa è consentita. Questi i numeri dell’Acquario rinnovato: 180 metri cubi di acqua, 507 metri quadrati, 19 vasche, 200 specie animali e vegetali, 9 diversi habitat. La struttura, peraltro, è destinata a crescere perché, durante l’inaugurazione è stato detto che «fino a Natale arriveranno nuovi esemplari e saranno allestite altre vasche».