Appunti di viaggio di Pippo Ferraro riordinati e redatti da Simona Bellini


Prima di incontrare Gabrielle le mie esperienze con le ragazze non erano state molto numerose nonostante avessi ormai più di 24 anni e sicuramente ben poca cosa rispetto all’intensità delle sue frequentazioni. La sua disponibilità sotto questo aspetto era in parte spiegabile col fatto che all’epoca c’era un’abissale differenza socio-culturale tra l’Inghilterra e l’Italia, soprattutto l’Italia del sud, per via dell’enorme divario tra mentalità e costumi sociali che da noi si sarebbero sviluppati e modificati solo anni dopo. La mia imbarazzante inesperienza aveva origine anche da un fattore non di secondaria importanza, il mio aspetto fisico non proprio attraente soprattutto per i già citati problemi di sovrappeso. Questo stato di malessere, che mi trascinavo dalla più tenera età e che mi aveva fatto subire episodi di bullismo oltre all’emarginazione da parte dei miei coetanei e in particolare delle ragazze, era durato fino a che non mi resi conto che la soluzione era nelle mie mani. Dopo essermi liberato di oltre 20 chili le mie relazioni sociali e le interazioni con l’altra meta’ del cielo cambiarono radicalmente. Inoltre l’essermi liberato di un aspetto fisico imbarazzante cominciava a permettermi di vivere le prime emozioni anche se in ritardo di qualche anno. Lo speravo intensamente ma restai comunque sorpreso di scoprire quanto tale aspetto avesse condizionato la mia vita, una scoperta amara che mi fece prendere coscienza della superficialità imperante nell’ambito dei rapporti tra esseri umani. Oltre a ciò il mio carattere gioviale ora emergeva prepotentemente libero da quella corazza che mi divideva dal resto del mondo. I contatti con l’altro sesso divennero d’un solo colpo più fitti e a dir poco piu’ stuzzicanti. Non che si combinasse granché, erano ancora anni dove tabù e repressioni la facevano da padroni e il sesso era considerato argomento fuori luogo, figuriamoci il praticarlo. Le ragazze poi vivevano un’esistenza piena di proibizioni, veti ed inibizioni.

Prima dell’irrompere di Gabrielle nella mia esistenza, c’era stata qualche altra ragazza nella mia giovane vita, come la figlia del sindaco di una località della costiera amalfitana. L’avevo conosciuta in occasione dell’esibizione del mio gruppo musicale alla festa di carnevale del suo paese dove mi ero recato per esibirmi col mio gruppo musicale. Da quel giorno andavo a trovarla quotidianamente col il mio maggiolino Volkswagen, che fu la mia prima automobile, all’interno del quale ci producevamo in contorsioni e avvitamenti, degni di consumati artisti circensi, sui celebratissimi sedili reclinabili. Tuttavia i primi successi apprezzabili li ottenni ancora prima, lontano dal mio paese, molto lontano, al nord.

Era l’inverno del ’73 quando mi recai a Vicenza. La numerosa famiglia di un mio zio materno, morto prematuramente qualche anno prima, si era stabilita da molti anni nel veneto. La mia zia acquisita mi voleva bene come fossi stato il suo sesto figlio e mi aveva invitato ad andare a stare con lei ed i miei cugini. per tutto il tempo che avessi voluto.

Fino a quel momento, contrariamente a tutti i giovani della mia eta’, non avevo dato importanza al fatto di poter essere autonomo negli spostamenti e quindi di avere un’automobile tutta mia. Inoltre c’era la concreta prospettiva di poter lavorare come rappresentante, cosa che si sarebbe concretizzata più di un anno dopo, quindi avere la patente di guida stava diventando sempre più una necessità. Avevo sottovalutato anche l’importanza di disporre di un mezzo nel facilitare la possibilità di nuove conoscenze ed entrare finalmente nel mondo degli adulti.

Mi iscrissi così al corso teorico per il conseguimento della patente in un’autoscuola di Vicenza mentre il maggiore dei miei cugini, quasi mio coetaneo, che guidava già da anni si era reso disponibile a seguirmi nella pratica della guida. Fu in autoscuola che conobbi G., una giovane donna sposata con un artigiano del luogo. Notai immediatamente la sua bellezza ed il suo carattere spigliato e vivace. Attrice a livello amatoriale, faceva parte di una compagnia sperimentale, pretesto che utilizzai prontamente per instaurare una conversazione in quanto artista come lei quale musicista, anche se ancora poco convinto che questa mia attitudine avrebbe potuto avere un futuro. Tra noi si era instaurato subito un clima di simpatia reciproca che non mancavo di alimentare in ogni occasione. Le lezioni in autoscuola si tenevano due pomeriggi alla settimana mentre negli altri lei era occupata con l’attività del marito ma mai al mattino. Disponeva quindi di una discreta libertà. Un giorno con mia grande sorpresa mi invitò a visitare il Teatro Olimpico, uno dei gioielli architettonici di Vicenza, dove aveva recitato in una commedia di Goldoni. Lei conosceva il guardiano di servizio quindi entrammo senza difficoltà e visitammo la struttura in totale solitudine. La bellezza del luogo era già sufficiente a sollecitare grandi emozioni ma non erano le sole che provavo io. Mentre G. mi descriveva il luogo, con passione e competenza, quasi non l’ascoltavo più, perdutamente invaghito non pensavo ad altro che a quell’occasione che difficilmente si sarebbe potuta ripresentare. Ripetevo dentro di me che era meglio allontanare quei pensieri, che avrei dovuto essere più razionale, che se avessi preso l’iniziativa il mio gesto avrebbe potuto avere conseguenze imbarazzanti, che i miei sogni erano proibiti… La mia era come una partita a scacchi, con uno scacco matto a disposizione, che io avevo paura di perdere ma anche di vincere. Intanto che tutta questa confusione si agitava dentro di me sentivo il viso diventare paonazzo mentre la sua voce cristallina, con la tipica inflessione veneta, rimbombava piacevolmente nel piccolo ma suggestivo teatro. D’istinto non appena l’ebbi più vicina con decisione l’abbracciai e mentre la stringevo a me già ero pentito di quel gesto sentendomi patetico e ridicolo. Ma la sua reazione fu diversa. Il suo bel viso si avvicinò ancor più al mio e con mia grande sbalordimento ci baciammo a lungo. Non conoscevo e non ero preparato ad un bacio di questo tipo, profondo ed appassionato. Riluttanti ci staccammo l’uno dall’altra. Mentre io ero bloccato dall’incredulità lei mi prese per mano quasi trascinandomi lontano dal centro del palcoscenico perché, senza che io me ne rendessi conto, era proprio li’ che aveva avuto luogo quella nostra esibizione senza pubblico.

Ci spostammo dietro le quinte cominciando già lungo il percorso una confusa svestizione reciproca. In un angolo ci aspettava un divano di scena mentre nessuno dei due si preoccupava della temperatura del luogo di quel rigido febbraio vicentino. Bastò poco a non accorgersene più. L’ardore che ci stava travolgendo trasformò quell’ambiente gelido in un rovente scenario estivo.

Quella fu la prima ed ultima volta che G. ed io potemmo consumare la nostra passione. Io, impacciato ed inesperto, non avrei saputo come gestire una relazione di quel tipo e lei non cercò altre occasioni. Si era pentita dell’accaduto o, più probabilmente, quell’attrazione si era consumata in quell’unico incontro?

Poco tempo dopo superai l’esame per il conseguimento della patente e non lo seppi mai.


Appuntamento a sabato prossimo per la pubblicazione di un altro capitolo del libro

“Il pianista dall’oblò”



“Il pianista dell’oblò”

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