a cura di Luciana Gennari

 

Approfondimento sulla gestione delle faccende domestiche durante i giorni di permesso legge 104. Esempi pratici e risposte alle domande più comuni.

La legge 104 prevede permessi per l’assistenza ai familiari disabili, ma cosa accade quando, durante questi permessi, si svolgono faccende domestiche? Poniamo il caso di una donna che prenda tre giorni di permesso dal lavoro per assistere la madre disabile. In uno di tali giorni, tuttavia, anziché recarsi dall’anziana, resta a casa propria per gran parte della mattinata al fine di sbrigare le pulizie e mettere in ordine l’appartamento. Il datore di lavoro, che ha messo un investigatore sotto casa della lavoratrice, lo scopre e la licenzia. Sarebbe legittimo un provvedimento del genere? Si possono fare le faccene domestiche durante i permessi della legge 104?

Scopriamo insieme quali attività sono ammesse e come gestire al meglio queste situazioni.

Cosa prevede la legge 104 riguardo i permessi per assistenza?

La Legge 104/1992 garantisce diritti e agevolazioni ai lavoratori con disabilità e ai loro familiari. Tra queste agevolazioni vi sono i permessi lavorativi retribuiti per assistere un familiare disabile. In generale, un lavoratore ha diritto a 3 giorni di permesso retribuito al mese (o a 12 ore se lavora part-time) per assistere un familiare con disabilità grave.

La legge non dice che l’assistenza debba essere svolta in via continuativa. Sicché ben è possibile che essa sia intervallata con brevi periodi di tempo dedicati alle proprie necessità (fare la spesa, acquistare le medicine, anche leggere un libro in un parco). Il tutto a condizione però che ciò non snaturi la funzione del permesso: il che significa che buona parte della giornata deve comunque essere destinata a prestare aiuto al familiare disabile. 

Cosa si può fare durante i permessi della legge 104?

È illegittimo il licenziamento per giusta causa della lavoratrice che abbia fruito dei tre giorni di permesso ex L. 104/92 espletando anche attività domestiche diverse dall’assistenza alla madre disabile (quali fare la spesa, compiere acquisti o sbrigare incombenze) ma comunque ad essa funzionali, posto che il concetto di assistenza non va inteso come vicinanza continuativa e ininterrotta alla persona disabile, essendo evidente che la cura di un congiunto affetto da menomazioni psico-fisiche, non in grado di provvedere alle esigenze fondamentali di vita, spesso richiede interventi diversificati, non implicanti la vicinanza allo stesso.

È possibile svolgere faccende domestiche durante i permessi legge 104?

Le faccende domestiche sono compiute di routine che vengono svolti per mantenere la casa in ordine e pulita. Si tratta di uno di quei compiti che, seppur non considerabile “vitale”, è ugualmente indispensabile per l’interesse proprio e della propria famiglia. 

Non c’è una regola specifica nella Legge 104/1992 che vieti di fare le faccende domestiche durante i giorni di permesso. Tuttavia, come detto sopra, l’obiettivo principale di questi permessi è quello di fornire assistenza al familiare disabile, quindi è importante garantire che queste ore vengano effettivamente utilizzate per soddisfare le esigenze della persona assistita.

In definitiva, secondo la Cassazione, è possibile svolgere faccende domestiche nei giorni di permesso concesso dalla Legge 104, purché la priorità sia l’assistenza al familiare con disabilità grave.

Secondo la pronuncia in commento, i lavori casalinghi rientrano tra le attività che una persona può svolgere durante i giorni di permesso 104. L’obiettivo principale di questi giorni di riposo è garantire un’adeguata assistenza al familiare disabile o consentire al lavoratore con disabilità di occuparsi delle proprie esigenze. Pertanto, se svolgere le faccende domestiche è parte dell’assistenza al familiare disabile o delle necessità del lavoratore con disabilità, è possibile farlo durante i giorni di permesso 104. Tuttavia, è importante ricordare che l’uso di questi giorni di permesso deve essere finalizzato principalmente all’assistenza e al benessere della persona con disabilità.

Quali attività domestiche sono considerate funzionali all’assistenza del familiare disabile?

Alcune attività domestiche che possono essere considerate funzionali all’assistenza del familiare disabile includono la spesa, l’acquisto di beni necessari, lo sbrigamento di pratiche amministrative e l’organizzazione di visite mediche. Queste attività, pur non implicando una presenza fisica costante, concorrono comunque al benessere del familiare disabile.

Quando si parla di abuso del diritto ai permessi legge 104?

L’abuso del diritto ai permessi legge 104 si configura quando il lavoratore utilizza questi permessi per svolgere attività completamente estranee all’assistenza del familiare disabile, recidendo il vincolo fiduciario con il datore di lavoro. In questi casi, il licenziamento per giusta causa può essere considerato legittimo.

Pertanto può costituire giusta causa di licenziamento l’utilizzo, da parte del lavoratore che fruisca di permessi ex lege n. 104 del 1992, in attività diverse dall’assistenza al familiare disabile, con violazione delle finalità per la quale il beneficio è concesso». In particolare, il licenziamento è legittimo solo «ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi del tutto, in quanto non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto, oppure, secondo concorrente o distinta prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’ente assicurativo»

note

[1] Cass. ord. n. 8306/2023.

SENTENZA

Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile Ordinanza 23 marzo 2023 n. 8306

Data udienza 24 gennaio 2023

Integrale

Lavoratore – Legge 104 – Fruizione permessi – Affidamento della madre disabile a un’amica – Utilizzo del tempo per fare la spesa e svolgere altre incombenze domestiche – Licenziamento – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere

Dott. CASO Francesco Giuseppe L. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1659/2020 proposto da:

la (OMISSIS) s.p.a., in persona del suo procuratore speciale Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS);

ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS);

controricorrente –

avverso la sentenza n. 257/2019 della Corte di Appello di CAMPOBASSO, depositata il 26.10.2019, R.G. n. 89/2019;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 24.1.2023 dal Consigliere Dott. Francesco Giuseppe L. CASO.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 41/2019 del 28.3.2019, il Tribunale di Ladino aveva respinto l’opposizione che l’attrice (OMISSIS) aver proposto contro l’ordinanza emessa il 24.10.2017 ai sensi della L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 49, dal medesimo Tribunale, con la quale ordinanza era stata rigettata l’impugnativa del licenziamento per giusta causa intimato alla (OMISSIS) dalla datrice di lavoro convenuta, (OMISSIS) s.p.a., in data 27.11.2015.

2. La citata ordinanza, resa all’esito della fase sommaria, aveva rilevato che la (OMISSIS), dipendente della resistente con mansioni di cassiera, in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, aveva utilizzato i permessi ex lege n. 104 del 1992, a lei concessi nei giorni (OMISSIS), per espletare attivita’ diverse dall’assistenza alla madre disabile, come contestatole, ed aveva ritenuto che tale condotta, integrante una sicura e ripetuta violazione dei doveri di correttezza e buona fede, nonche’ degli obblighi contrattualmente assunti, di diligenza e di fedelta’, fosse idonea a recidere il vincolo fiduciario con la datrice di lavoro.

3. La sentenza emessa in sede d’opposizione, nel confermare l’ordinanza suddetta, alla luce dell’espletata istruttoria orale, rilevava in aggiunta che dalla deposizione della teste di parte opponente, (OMISSIS), era emerso che la (OMISSIS) nella giornata di sabato (OMISSIS), pur fruendo del permesso ex lege n. 104 del 1992, non si era affatto presa cura della madre, la quale era rimasta affidata per la gran parte della giornata proprio alla sua amica (OMISSIS).

4. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Campobasso accoglieva il reclamo che la (OMISSIS) aveva proposto contro la sentenza di primo grado, e, in riforma della stessa, annullava il licenziamento intimato alla reclamante con atto del 27.11.2015 e condannava la societa’ reclamata a reintegrare la (OMISSIS) nel posto di lavoro occupato alla data del recesso, nonche’ al pagamento, in favore della stessa, di un’indennita’ risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione, entro il limite delle dodici mensilita’ della retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali per il medesimo periodo, maggiorati degli interessi nella misura legale; condannava, inoltre, la reclamata a rifondere alla reclamante le spese del doppio grado di giudizio, come liquidate e in distrazione.

5. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, dopo aver dato ampiamente conto dei motivi di reclamo, e all’esito di un capillare riesame delle risultanze processuali, giungeva alla conclusione dell’infondatezza degli addebiti mossi alla lavoratrice, giudicando che non era emerso, alla luce della espletata istruttoria, che sui tre giorni cui si riferiscono i permessi di cui aveva usufruito la (OMISSIS), parametrati all’orario di lavoro effettivamente svolto, la stessa sarebbe stata impegnata in attivita’ diverse dall’assistenza alla madre disabile, da intendersi nella accezione piu’ ampia riconosciuta anche da questa Corte Suprema. Riteneva, in particolare, dimostrato dalla lavoratrice che ella curava gli interessi della madre anche quando era all’esterno dell’abitazione, facendo la spesa, sbrigando pratiche (o informandosi sulla possibilita’ di una visita domiciliare), rifornendo di carburante l’autovettura, acquistando capi di abbigliamento per la stessa; attivita’ che difficilmente potevano essere delegate a terzi, anche dietro pagamento di un compenso.

6. Avverso tale decisione la (OMISSIS) s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

7. Ha resistito l’intimata con controricorso e deposito di successiva memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, articolo 24, e L. n. 104 del 1992, articolo 33, comma 3, nonche’ dell’articolo 2697 c.c. e articolo 115 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo la stessa, la Corte d’appello avrebbe ancorato “le proprie determinazioni alla novella di cui alla L. n. 183 del 2010, articolo 24, che, ai fini della legittimazione ai benefici della L. n. 104 del 1992, ha eliminato i requisiti della “continuita’ ed esclusivita’” dell’assistenza” e, “siccome l’ammissione ai suddetti benefici prescinde dai richiamati requisiti, anche la fruizione dei permessi ex L. n. 104 del 1992, sarebbe svincolata dalla necessita’ di rivolgere l’assistenza al beneficiato nei predetti termini”. Per la ricorrente, tuttavia, per tal modo detta Corte avrebbe confuso “i requisiti relativi alla concessione del beneficio ex L. n. 104 del 1992, con le finalita’, del tutto diverse e specifiche, cui sottendono i permessi retribuiti”. La ricorrente, inoltre, assume che “la sentenza impugnata e’ pervenuta a conclusioni che rappresentano l’esatto contrario rispetto al risvolto logico-deduttivo fatto proprio dalla Corte di Cassazione in innumerevoli pronunce, che la stessa Corte territoriale, peraltro, cita”. Per altro verso, secondo la ricorrente “le asserzioni “generiche” della Corte territoriale stridono fortemente con le risultanze processuali, violando i precetti di cui all’articolo 2697 c.c. e articolo 115 c.p.c.”.

2. Col secondo motivo, deduce: “violazione di legge ex articolo 360 c.p.c., n. 3, in particolare: a). violazione della L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 40, paragrafo 4, nonche’ dell’articolo 1227 c.c., sull’onere della prova in relazione all’aliunde perceptum o percipiendum. b). violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., nonche’ dell’articolo 115 c.p.c.. In particolare: sull’onere probatorio relativo all’aliunde perceptum e sulla dichiarata inammissibilita’ degli ordini di esibizione diretti a determinati enti pubblici”. Assume, infatti, che la “Corte territoriale ha dichiarato inammissibile l’istanza presentata dalla scrivente difesa, e reiterata in tutti i precedenti, numerosi, scritti difensivi in merito alla richiesta rivolta ai Giudice, di ordinare l’esibizione, ai rispettivi Enti preposti, dei documenti attestanti l’indennita’ di disoccupazione percepita nelle more dalla sig.ra (OMISSIS), le eventuali occupazioni nel frattempo avute e/o la certificazione dell’iscrizione nelle liste di disoccupazione”.

3. Il primo motivo e’ privo di fondamento.

3.1. Esso presenta anzitutto profili d’inammissibilita’ per tutta la parte in cui, nella chiave di apparente deduzione della violazione dell’articolo 2697 c.c. e articolo 115 c.p.c., in realta’, da una parte, critica nel merito l’apprezzamento probatorio compiuto dalla Corte territoriale e, dall’altra, propone una propria diversa lettura della fattispecie concreta sul piano probatorio, preclusa ovviamente in questa sede (cfr. pagg. 21-28 del ricorso).

4. Per il resto, nell’impugnata sentenza non sono riscontrabili le pur dedotte violazioni della L. n. 183 del 2010, articolo 24, e della L. n. 104 del 1992, articolo 33, comma 3.

4.1. Per chiarezza occorre precisare che la L. n. 104 del 1992, articolo 33, e, in particolare, il suo comma 3 hanno formato oggetto nel tempo di numerose modifiche e riformulazioni, da ultimo, con la (nuova) sostituzione di detto comma ad opera del Decreto Legislativo n. 105 del 2022, articolo 3, comma 1, lettera b), n. 2.

La Corte territoriale ha preso in considerazione il testo dell’articolo 33, comma 3, cit., come sostituito dalla L. n. 183 del 2010, articolo 24, comma 1, lettera a), e, cioe’, la versione della norma pacificamente applicabile ratione temporis alla fattispecie di cui e’ causa.

4.2. Cio’ per ora rilevato, per pacifica giurisprudenza di questa Corte puo’ costituire giusta causa di licenziamento l’utilizzo, da parte del lavoratore che fruisca di permessi ex lege n. 104 del 1992, in attivita’ diverse dall’assistenza al familiare disabile, con violazione della finalita’ per la quale il beneficio e’ concesso (Cass. n. 4984 del 2014; Cass. n. 8784 del 2015; Cass. n. 5574 del 2016; Cass. n. 9749-del 2016; ancora di recente: Cass. n. 23891 del 2018 e Cass. n. 8310 del 2019).

In coerenza con la ratio del beneficio, l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso e’ riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile. Tanto meno la norma consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma e’ preordinata: il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela. Ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi del tutto non puo’ riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si e’ in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto (cfr. Cass. sez. VI, 16.6.2021, n. 17102; id., sez. lav., 19.7.2019, n. 19580; id., sez. lav., 25.3.2019, n. 8310; id., sez. lav., 13.9.2016, n. 17968), oppure, secondo concorrente o distinta prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’ente assicurativo (anche ove non si volesse seguire la figura dell’abuso di diritto che comunque e’ stata integrata tra i principi della Carta dei diritti dell’unione Europea: l’articolo 54), dimostrandosi cosi’ il suo crescente rilievo nella giurisprudenza Europea: in termini v. Cass. n. 9217 del 2016).

4.3. Inoltre, la verifica in concreto, sulla base dell’accertamento in fatto della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio, dell’esercizio con modalita’ abusive difformi da quelle richieste dalla natura e dalla finalita’ per cui il congedo e’ consentito appartiene alla competenza ed all’apprezzamento del giudice di merito (in termini: Cass. n. 509 del 2018; v. anche Cass. n. 29062 del 2017; Cass. n. 30676 del 2018).

Nondimeno, in relazione a fattispecie concrete piu’ simili a quella che ci occupa, questa Corte ha sancito che deve ritenersi illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore per abuso dei permessi assistenziali L. n. 104 del 1992, ex articolo 33, allorche’ sia emerso in corso di causa che il lavoratore aveva utilizzato tali permessi per attendere a finalita’ assistenziali in favore della ex moglie presso la propria abitazione (cfr. Cass. sez. lav., 20.8.2019, n. 21529, in cui fu respinta la tesi datoriale secondo cui vi era, quantomeno, un inadempimento parziale da parte del lavoratore, atteso che una parte della giornata in cui aveva fruito del permesso non era stata dedicata all’assistenza al disabile); ovvero che la condotta del lavoratore nella fruizione dei permessi retribuiti previsti dalla L. 5 febbraio 1992, n. 104, consistente nell’aver svolto l’attivita’ assistenziale soltanto per una parte marginale del tempo totale concesso, concreta un abuso in grave violazione dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c. e costituisce pertanto giusta causa di recesso del datore di lavoro (cosi’ Cass. sez. lav., 22.3.2016, n. 5574, gia’ cit.).

Tutti tali principi sono stati, di recente, confermati anche in Cass. 24.8.2022, n. 25290, pure riferita a caso analogo a quello in esame, ponendosi in luce che i permessi L. n. 104 del 1992, ex articolo 33, comma 3, da un lato, sono delineati quali permessi giornalieri (tre al mese), e non su base oraria o cronometrica, e, dall’altro, possono essere fruiti “a condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno”, ma per assistere, in forme non specificate, segnatamente in termini infermieristici o di accompagnamento, una “persona con handicap in situazione di gravita’”.

4.4. Ebbene, la decisione della Corte di merito risulta in linea con tali principi di diritto.

In particolare, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, il giudice del reclamo non ha annesso soverchio rilievo alle modifiche derivanti all’epoca dalla sostituzione del testo normativo L. n. 183 del 2010, ex articolo 24, comma 1, lettera a).

La Corte d’appello ha piuttosto condivisibilmente ritenuto “che il concetto di assistenza non va inteso come vicinanza continuativa e ininterrotta alla persona disabile, essendo evidente che la cura di un congiunto affetto da menomazioni psico-fisiche, non in grado di provvedere alle esigenze fondamentali di vita, spesso richiede interventi diversificati, non implicanti la vicinanza allo stesso”.

A riguardo ha svolto delle considerazioni esemplificative di tale piu’ lata nozione di assistenza (cfr. pag. 15 della sua decisione).

Indi, ha richiamato in proposito la sopra gia’ cit. Cass. civ., sez. lav., 2.10.2018, n. 23891, evidenziando che quest’ultima aveva “confermato, ritenendola in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita’ in materia di permessi ex lege 104/1992, la sentenza della Corte di appello di Roma che aveva escluso la finalizzazione a scopi personali delle ore di permesso utilizzate dal lavoratore per attivita’ come il fare la spesa, l’usare lo sportello Postamat, incontrare il geometra e l’architetto, essendo emerso, dalle prove raccolte, che le stesse erano ricollegate a specifici interessi ed utilita’ dei congiunti in tal modo assistiti”.

4.5. In punto di fatto, quindi, la Corte di merito ha accertato in estrema sintesi: 1) che nel giorno (OMISSIS), in quanto cadeva di giovedi’, ossia, il giorno della settimana che era abitualmente “libero” per la lavoratrice, questa non avrebbe comunque lavorato, anche senza beneficiare del permesso apposito, sicche’ non poteva “assumere alcun rilievo, ai fini disciplinari, la circostanza che la stessa non fosse stata per tutto il giorno presso l’abitazione nella quale conviveva con la madre disabile”; 2) che per gli altri due giorni (OMISSIS) e (OMISSIS), cui si riferiva la contestazione disciplinare, essendo “incontestato che”, in difetto dei permessi, la stessa “avrebbe lavorato venerdi’ (OMISSIS) dalle 17.00 alle 20.00 e sabato (OMISSIS) dalle 9.30 alle 13.30 e dalle 17.00 alle 20.00”, riteneva “dimostrato che anche allorquando si e’ allontanata da casa si e’ per lo piu’ dedicata ad attivita’ (come fare la spesa, compiere acquisti, sbrigare incombenze) funzionali alla cura e alla assistenza della anziana madre, non risultando i comportamenti rilevati per le ore per le quali tale prova non e’ stata fornita (anche in ragione della genericita’ degli addebiti), comunque significativi di una omessa assistenza” (ma v. in extenso le pagg. 16-19 della sua sentenza).

4.6. Sul piano giuridico, allora, le considerazioni svolte dalla Corte distrettuale, in relazione a quanto accertato e diffusamente apprezzato a livello probatorio, risultano ineccepibili; viepiu’ tenendo conto del dato, evidenziato dalla stessa Corte, che la lavoratrice conviveva con la madre disabile e non essendosi constatato che nei tre giorni oggetto di contestazione la (OMISSIS) si fosse dedicata, magari in via del tutto preponderante, ad esigenze esclusivamente personali o comunque assolutamente estranee ad un’assistenza a detta stretta parente gia’ normalmente prestata appunto in regime di convivenza tra le due donne.

In relazione in particolare al giovedi’ (OMISSIS), la Corte d’appello non ha affermato quello che sembra ad essa attribuire la ricorrente, e cioe’ che “il lavoratore che richiede ed usufruisce della giornata di permesso ex L. n. 104 del 1992, nel giorno in cui, solitamente, non presta attivita’ lavorativa, e’ di fatto esentato dal dover prestare assistenza al disabile per il quale e’ beneficiario dei suddetti permessi poiche’ non avendo comunque dovuto lavorare non deve necessariamente dedicarsi al disabile”.

Come si e’ visto, infatti, la Corte di merito ha piuttosto considerato che, per quel particolare giorno, non poteva assumere rilievo disciplinare la circostanza che la lavoratrice non fosse stata per tutto il giorno presso l’abitazione nella quale conviveva con la madre disabile.

Del resto, ribadito che il grado di sviamento della condotta concreta rispetto al legittimo esercizio del congedo spetta al giudice del merito, la prospettiva di parte ricorrente denuncia una visione meramente quantitativa dell’assistenza rispetto alla quale occorre invece che risultino complessivamente salvaguardati i connotati essenziali di un intervento assistenziale (v. Cass. n. 29062/2017 cit.) che deve avere carattere permanente e globale nella sfera individuale e di relazione del disabile, tenuto altresi’ conto dei valori di rilievo costituzionale coinvolti dalla disciplina in esame che postulano una peculiare e rafforzata tutela degli interessi regolati (v. Corte Cost. n. 232 del 2018).

5. In definitiva, la decisione gravata, in relazione al caso di specie come approfonditamente valutato dai giudici di secondo grado, e’ conforme ai piu’ recenti precedenti di questa Corte in subjecta materia, i quali, quando hanno confermato le decisioni di merito che avevano ritenuto legittimi i licenziamenti intimati per contestati abusi circa i permessi in questione, lo hanno fatto in relazione a casi concreti significativamente difformi rispetto a quello che qui ci occupa (cfr. Cass., sez. VI, 16.6.2021, n. 17102, relativa a conferma di licenziamento del lavoratore che durante i permessi ex lege 104 aveva svolto attivita’ incompatibili con l’assistenza alla madre, essendosi recato prima presso il mercato, poi al supermercato e infine al mare con la famiglia, piuttosto che presso l’abitazione della madre; Cass., sez. lav., 25.3.2019, n. 8310, relativa a fattispecie in cui il dipendente di una municipalizzata aveva chiesto ed ottenuto alcuni permessi per assistere il padre, che, invece, risultava essere regolarmente operativo nella stessa azienda del figlio).

6. Parimenti infondato e’ il secondo motivo di ricorso.

6.1. Pure tale censura presenta anzitutto profili d’inammissibilita’, anche in termini di autosufficienza, per la parte in cui vi si asserisce che la Corte territoriale avrebbe dichiarato inammissibile un’istanza di esibizione da rivolgere ad enti competenti, asseritamente sempre reiterata dalla difesa della convenuta.

Invero, in primo luogo di un provvedimento della Corte d’appello che abbia dichiarato inammissibile una richiesta in tal senso dell’attuale ricorrente per cassazione non v’e’ traccia nell’impugnata sentenza.

Inoltre, non solo non e’ stato prodotto in questa sede il provvedimento della Corte distrettuale (se precedente e distinto dall’impugnata sentenza) che avrebbe dichiarato inammissibile tale istanza, ma di tale provvedimento neanche sono stati indicati gli estremi e la sua attuale collocazione negli atti di causa e men che meno e’ riferita l’eventuale motivazione.

Infine, l’impugnante neanche ha richiamato proprie specifiche deduzioni in merito ai profili dell’aliunde perceptum o dell’aliunde percipiendum.

6.2. Errato in diritto e’, poi, l’assunto della stessa, secondo il quale il comportamento diligente del lavoratore nella ricerca di una occupazione “costituisce vero e proprio onere probatorio che incombe sul lavoratore stesso e l’omissione del quale – come nel caso che ci occupa – obbliga il Giudice ad una valutazione ex officio”.

Occorre, infatti, sottolineare che nella motivazione di Cass. civ., sez. lav., 7.2.2022, n. 3824 (e, negli esatti termini, id., sez. lav., 13.4.2022, n. 12034), questa Corte aveva specificato che: “il semplice dato della esplicitazione, nella L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, come riformulato dalla L. n. 92 del 2012, della detraibilita’ dell’aliunde perceptum e percipiendum, non altera la natura dei compensi percepiti nello svolgimento di altre attivita’ lavorative, quali fatti impeditivi della domanda risarcitoria del lavoratore (v. Cass. n. 1636 del 2020; n. 30330 del 2019), da veicolare nel processo sotto forma di eccezioni, sia pure in senso lato (v. Cass. n. 21919 del 2010; n. 5610 del 2005; n. 10155 del 2005)”. E su tali basi era stato ribadito “l’onere, del datore di lavoro che contesti la pretesa risarcitoria del lavoratore illegittimamente licenziato, di provare, pur con l’ausilio di presunzioni semplici, l’aliunde perceptum o percipiendum, a nulla rilevando la difficolta’ di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente estromesso dall’azienda, dovendosi escludere che il lavoratore abbia l’onere di farsi carico di provare una circostanza, quale la nuova assunzione a seguito del licenziamento, riduttiva del danno patito (Cass. n. 22679 del 2018; n. 9616 del 2015; n. 23226 del 2010)”.

Ergo, l’indirizzo ermeneutico circa l’onere di allegazione e prova sugli aspetti suddetti a carico del datore di lavoro, che aveva seguito la Corte territoriale, e’ stato da ultimo confermato espressamente in relazione alla formulazione attuale della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, applicabile ratione temporis alla fattispecie che qui ci occupa.

7. La ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore dello Stato, delle spese di questo giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo. Risulta, infatti, che la controricorrente vittoriosa e’ stata ammessa al patrocinio al spese dello Stato in relazione a questo procedimento (giusta Delib. Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Campobasso in data 5 febbraio 2020, in copia agli atti). La ricorrente e’ inoltre tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dello Stato, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella -misura del 15% e I.V.A e C.P.A. come per legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo

Fonte: https://www.laleggepertutti.it/ – Autore: Raffaella Mari – 20 Aprile 2023 


Luciana Gennari

Nata a Roma il 7 febbraio 1953Vive a Roma

Persona con Disabilità per Ischemia cerebrale. Mamma di tre ragazzi. Raffaello: il figlio dell’amore, il figlio del desiderio e il figlio della scelta. Simone il figlio del desiderio ha una gravissima disabilità dalla nascita. Francesco il figlio della scelta, di anni 30, con patologia schizofrenica (malattia invisibile), morto il 26 novembre 2021. Già Presidente della Consulta per i Diritti delle Persone con Disabilità – Municipio IX ROMA EUR – Comune di Roma, dalla sua istituzione nel 1999 ad oggi, fino alla morte del proprio figlio. In questa Rubrica si potrà parlare di disabilità motoria, sensoriale, intellettiva e mentale, perché farlo dà la possibilità a chi ci circonda di confrontarci ed aiutarci. Sarà un impegno prezioso per un gesto di servizio e di solidarietà autentica.

Email: luciana.gennari53@gmail.com

Cell: +39 3358031152


Gli articoli di “Informadisabili”

[catlist name=informadisabili numberposts=1000]