a cura delle Redazioni di Italiadelight e E-borghi


Riccia è il centro più importante della valle del Fortore, posto sul versante di una collina, in un paesaggio segnato da campi di grano, oliveti e dal verde del bosco di faggi, frassini e cerri, in località Mazzocca. Da visitare è il centro storico medievale e, attraverso stradine e ripide scalinate in pietra, l’area detta Piano della Corte, con l’imponente torre e la preziosa Chiesa di Santa Maria delle Grazie.


Riccia (‘A Rìcce nel dialetto locale), originariamente centro sannita, fu conquistato nella guerra sociale da Silla, ed aveva il nome di Aritia, diventando un avamposto romano. L’Aricia romana diventa “Saricia” nei documenti del secolo XII, ed ancora “Ricia” e “Aritiae” durante il secolo XIV, infine “Ritia” nei decreti della Curia del XVII secolo per giungere alla denominazione attuale. Con la conquista angioina nel XII secolo, Riccia divenne importante avamposto medievale, con la costruzione del castello sopra la vecchia fortificazione sannita, come punto di controllo del commercio.

Il feudo riccese venne così concesso al famoso giurista Bartolomeo de Capua, primo duca di Termoli ed appartenente alla illustre stirpe dei Conti di Altavilla. Questi, avendo parteggiato per Luigi d’Angiò contro Carlo di Durazzo, fu privato dei feudi, appena il Durazzo ascese al trono, e assegnati a Luigi de Capua (che divenne signore di Riccia nel 1383). A Luigi de Capua succede Andrea De Capua nel 1397. Questi, fu fedele alleato e amico di Ladislao di Durazzo. Il padre, Luigi, generale delle milizie reali era morto per la causa durazziana nell’assedio de Capua. Le vicende storiche di Andrea e della bellissima moglie Costanza di Chiaromonte sono ormai ritenute le pagine più belle di vita medievale tra le mura dell’antico borgo riccese, soprattutto grazie alle vicissitudini legate a queste due figure le cui spoglie sono seppellite nella Chiesa del Beato Stefano.

Con Bartolomeo III De Capua raggiungono agli inizi del ’500 l’apice della loro fortuna. Bartolomeo ottiene regolare investitura di tutti i suoi beni nel 1506 e viene addirittura nominato Vicerè della Capitanata e del Molise. Impegnato in studi di giurisprudenza, è autore di un libro sulle consuetudini del Regno. Non solo, ma da disposizioni per la costruzione di numerosi palazzi, tra cui quello di Napoli, oggi palazzo Marigliano, la ristrutturazione ed il completamento del castello e la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Riccia dov’è sepolto. Tra i suoi fratelli, vi furono Andrea, Duca di Termoli e signore di Gambatesa e Campobasso, Giovanni, capitano delle milizie aragonesi morto in battaglia per salvare il Re Ferrante cedendogli il proprio cavallo, Fabrizio, arcivescovo d’Otranto. Bartolomeo VI fu l’ ultimo feudatario dei de Capua, ma anche colui che godé per maggior tempo dei suoi feudi, ben 60 anni. Dagli avi ereditò anche il titolo di Protonotario del Regno e si distinse come Colonnello del Reggimento Terra di Lavoro nella battaglia di Velletri (1744), fondamentale per l’inizio della dominazione dei Borboni sul Regno di Napoli, dove fu ferito gravemente ad una coscia. Bartolomeo in seguito a questo avvenimento, con una supplica al re, cercò di recuperare anche i feudi persi a suo tempo dalla sua antenata Costanza di Chiaromonte.

Seguì un periodo di vero e proprio sperpero di denaro, con tanto di debiti accumulati. I suoi possedimenti furono affidati a Governatori e a fidati Erari e non poche furono le cause che lo videro coinvolto, tra cui quella contro l’Università di Riccia, dettagliatamente esposta nell’allegazione stampata nel 1736 dal titolo: Ragioni per l’Università della Riccia contro all’illustre Principe utile padron di detta terra. Alla sua morte alla fine di marzo del 1792, non avendo successori in grado, il Regio Fisco incamerava i beni feudali e privati. I conti con la famiglia de Capua, almeno simbolicamente, vennero così chiusi durante la rivoluzione del 1799, con l’assalto e la parziale distruzione del palazzo. Della dimora dei principi di Riccia restò ben poco, nel 1802 le mura ormai pericolanti “minacciavano ruina”. Il colpo di grazia gli fu dato dal terremoto di sant’Anna del 1805. Solo il possente maschio di guardia è arrivato integro fino a noi. Nel periodo successivo all’Unità, dopo il 1848, anche nell’agro riccese imperversano diverse bande di briganti, legate ai nomi di Pelorosso, Varanelli e Caruso. Gli uomini del Varanelli e soprattutto del Caruso continuarono a saccheggiare le campagne dell’agro praticamente fino alla fine degli anni sessanta del XIX secolo.

Meritano sicuramente una visita il Castello medievale, la Chiesa di Santa Maria delle grazie, che fu in origine il mausoleo dei Di Capua ed il Museo delle Arti e delle Tradizioni Popolari, ospitato all’interno dell’antico Magazeno Di Capua, una parte del castello che veniva utilizzata come magazzino di frumento fino alla fine del periodo feudale. Il palazzo a capanna è decorato da bastioni e un loggiato.

Nel piccolo cortile della Zecca, di epoca quattrocentesca, a pochi passi dal complesso storico-architettonico di Piano della Corte, si possono ammirare alcuni archi a sesto ribassato, poggiati su colonne di stile dorico, abbastanza sciupate ma dalle quali si intravedono ancora nel fregio tratti di metope e triglifi. Presente anche la scalinata esterna per accedere al piano superiore.