di Roberta Annecchini (Biocity Natura)


Cosa vuol dire, dal punto di vista psico-biologico ammalarsi di osteoporosi? Quale tipo di personalità è più a rischio? Quali sono i significati psicosomatici della malattia? Quale sono le predisposizioni e quali gli stili di vita?

Proviamo a rispondere alle domande per meglio inquadrare una patologia che è ben conosciuta, soprattutto per le donne in menopausa e post menopausa, ma ce riguarda anche gli uomini, seppure in percentuale minore, si stima 1 uomo ogni 5 donne.

Conoscere meglio gli aspetti, non solo medici e biologici (per i quali rimando ad uno scritto precedente al mio), ma entrare nel vissuto emotivo e negli stili di vita errati che non solo innescano la problematica, ma possono cronicizzarla con effetti molto più gravi ed invalidanti.

Passerò, successivamente, in rassegna i tipi di approccio psico-biologici, con tutta una serie di tecniche che possano aiutare ad affrontare meglio tale situazione, non solo da un punto di vista terapeutico, ma soprattutto preventivo.

Cominciamo nel rispondere alla prima domanda: partiamo dal significato rappresentativo di tale patologia… Vuol dire che la “Struttura” di fondo che “Sostiene” l’individuo non è più in grado di farlo! Cosa sta succedendo alla struttura ossea che è l’impalcatura fondamentale che mantiene l’individuo in equilibrio e in stabilità il proprio corpo? Teniamo conto che la salute ossea è alla base della posizione eretta e della motilità dello stesso. Le ossa fragili e non più in grado di “sostenere” la persona, mina alla base tutta la percezione di “Sicurezza e Stabilità”, sia dal punto di vista fisico che mentale. Ed è proprio la parte mentale che ci può venire in soccorso, sia nella prevenzione che nella cura, per rendere più forte quell’impalcatura che regge e determina la “Sicurezza e Stabilità” stessa dell’individuo.

Il significato, dicevamo, ebbene proviamo ad immedesimarci nel vissuto emotivo e razionale di tale significato…Quando affrontiamo il nostro aprirci al mondo sin dalla tenera età, quando “esploriamo” il territorio sconosciuto e soprattutto per un bambino o un cucciolo, la motilità rappresenta l’andare verso la scoperta e la conquista degli spazi sconosciuti, allora ci rendiamo conto dell’importanza della struttura che ci permette tutto questo. Il bisogno di Esplorare fa degli esseri viventi, in particolare per l’uomo, il bisogno primario per la sopravvivenza, non solo per il gusto di esplorare, ma per la ricerca della propria identità e sicurezza (anche sociale e relazionale). Allora possiamo definire il dramma dell’osteoporosi come la “fragilità” e “l’immobilismo”, che è l’antitesi del “movimento” e della “scoperta”. L’aspetto mentale allora è: voglio e posso continuare ad esplorare o mi sto fermando? Come posso aiutare il mio corpo a ritrovare quell’integrità ossea e personale che mi permette di continuare ad esplorare il mondo, la vita e me stesso/a? Si è possibile! Se cii immedesimiamo nel processo ricostruttivo del nostro essere, possiamo “ricostruire” la solidità ossea. Allora oltre ai consigli medici e ai farmaci di sintesi, dove necessari, laddove la patologia è già conclamata, si può pensare ad un approccio anche complementare, ma soprattutto d’elezione in fase preventiva. Ed è quello che voglio che avvenga…ritardare o addirittura evitare che la nostra impalcatura si ammali.

Allora partiamo da tre concetti chiave:

  • Sicurezza
  • Stabilità
  • Sostegno

Le tre “S” che stanno alla base della “Salute” ossea e della “Stabilità” dell’individuo  per costruire la “Solidità” dell’essere.

Tipologia di Personalità e rischio.

Da tempo immemore si è tentato di descrivere la personalità utilizzando quadri di riferimento all’interno dei quali fosse possibile inserire il maggior numero possibile di soggetti. Anche Jung (Tipi psicologici) ha elaborato una interessante metodologia in chiave piscologico-psicoanalitica. Si è spesso tentato di “inquadrare” l’individuo in una sorte di manuale topologico delle “persone”. Questo soprattutto per facilitare la lettura nosografica ed individuare l’intervento migliore per le persone che rientrassero per “Affinità” in tale chiave di lettura. Non mi dilungo su questo tema e si rimanda alla folta letteratura esistente in merito, ma serviva a fare emergere questo aspetto, in quanto ci aiuta ad individuare i tratti di personalità e del comportamento relativo che, una volta individuato, può favorire alcune modifiche caratteriali che innescano quel “comportamento” idoneo a creare il circolo virtuoso del “Cambiamento”.

Due tipologie di Personalità, secondo me, andrebbero attenzionate; quella depressiva e quella auto-aggressiva (o meglio autolesionista). La personalità Depressiva è caratterizzata da quella modalità di pensiero negativo che permea tutta la persona, qualsiasi esperienza essa vive, quasi un pessimismo cosmico Leopardiano. Può e deve essere individuata, attraverso alcuni semplici questionari per intervenire, successivamente, sulla struttura di pensiero ed indurne il cambiamento. Questo tipo di intervento preventivo è spesso anche “curativo” se la patologia fosse già conclamata.                                          La personalità autolesionista è quella invece alla base molti sensi di colpa e la tendenza è quella di autopunirsi, atteggiamento che mette in atto comportamenti autoaggressivi.

Questi due modelli comportamentali influiscono sul sistema strutturale osseo, poichè inconsapevolmente si mettono in atto dinamiche che sollecitano veri e propri attacchi alla propria stabilità di base e alla propria autostima. Si potrebbe parlare di una tendenza “psicobiologica” che “sbriciola” quella componente strutturale del Sè, che sul piano organico è rappresentato dalla impalcatura ossea. Queste reazioni psicosomatiche sono state osservate in soggetti che hanno una forte componente autodistruttiva (ovviamente a livello inconscio). Si è notato che nel trattamento di questi soggetti  con una psicoterapia ad hoc, si ottengono dei miglioramenti significativi anche sulla componente organica, dove in letteratura sono riportati studi recenti che accreditano questa tesi.

Quindi, nell’ottica di una prevenzione alla suddetta patologia, si possono adottare tecniche di intervento mirate a rafforzare le difese psicologiche e biologiche che possano ritardare o bloccare queste reazioni autodistruttive.

E’ naturale che abbiamo a che fare con un sistema complesso, dove anche la componente ormonale è considerevole, ma se l’approccio al trattamento è globale (vedi la PNEI) si possono ottenere dei risultati incoraggianti. Quindi il substrato “psicosomatico” della malattia è abbastanza evidente e ci permette di intervenire in modo sinergico con tutte le altre tecniche di cui parleremo in seguito.

E’ comunque importante una prima valutazione diagnostica sul piano psicologico (una psicodiagnosi mirata) per la rilevazione del tipo di personalità del soggetto. Successivamente inquadrare il tutto in chiave PNEI (PsicoNeuroEndocrinoImmunologico) per intervenire in modo mirato.

In conclusione si può tener conto sia della predisposizione personale che degli stili di vita del soggetto, intervenendo sul cambiamento di quest’ultimo e sulla modifica del comportamento da adottare.

Autore: dott. Antonio Santaniello, psicologo – psicoterapeuta, naturopata – psicoimmunologo

Studio: Psicologia Clinica e Psicoterapia Biologica, Via Guglielmo Pallavicini, 33 – Roma


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