a cura della Redazione di “Guida fumetto italiano”


Come il settimanale per ragazzi ricorda la Prima guerra mondiale

Un’attenta ricostruzione di come il Vittorioso abbia mantenuto vivo il ricordo del primo conflitto mondiale dalla sua prima uscita, nel gennaio 1937, sino al 1950.

La Grande Guerra nelle pagine de <i>il Vittorioso</i>

“Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio, dei primi fanti il ventiquattro maggio”

E.A. Mario, pseudonimo di Ermete Giovanni Gaeta, allontanato dalle RR Poste per scarso rendi­mento, quando compose questi primi versi, subito dopo la battaglia del solstizio e della vittoria ita­liana sul Piave, non si era ancora ben reso conto quanti dolori e lutti quella guerra aveva e avrebbe provocato nelle nazioni coinvolte.

In Italia tutte le energie economiche, sociali ed intellettuali furono mobilitate per sostenere il peso del conflitto. Anche i giornalini destinati all’infanzia (in primis il Corriere dei Piccoli) furono ‘ar­ruolati’, salvaguardando tuttavia quegli aspetti insopprimibili dell’infanzia quali l’evasione nel fantastico, il bisogno di svago, la curiosità. La successiva glorificazione della Vittoria del ’18, e dell’annessione delle città redente, trovò terreno fertile nei periodici riservati ai giovani, e tra essi le pubblicazioni a diretta emanazione del regime (Il Balilla per esempio).
Tuttavia altre nuove avventure belliche attrassero i lettori: la guerra d’Etiopia e subito dopo quella di Spagna. Settori fecondi per i racconti, le avventure e le storie a fumetti, atti eroici, armamenti e mezzi militari di cielo, di terra e di mare. Il Vittorioso non si sottrasse a queste ‘avventure’ nazionali, ma vi si inserì in diversi modi, con l’attenzione comunque di non pronunciare mai parole polemiche o di odio verso i nemici.
Questi eventi bellici vengono ripetutamente percorsi nel settimanale, con particolare risalto alle storie disegnate, e chi non ricorda Romano il legionario di Caesar? Ma poi lentamente la redazione prepara i giovani adepti a quello più spaventoso che inizierà di lì a poco, con l’invasione della Polonia da parte di Hitler.

Allo scopo di valutare quanto e come il Vitt abbia provveduto a mantenere vivo il ricordo del primo conflitto mondiale, ho sfogliato pazientemente – e forse qualcosa mi sarà sfuggito – le annate del periodico ad iniziare dalla prima fino al 1950 compreso. Lo scopo era quello di riscontrare: quali anniversari storici (24 maggio e 4 novembre) venivano menzionati o ricordati e come venivano trasmesse ai giovani lettori le memorie della Grande Guerra.
Nell’insieme di quasi venti annate sfogliate, il Vittorioso non ricorda mai l’anniversario dell’entrata in guerra del 24 maggio 1915, mentre il Ventennale della Vittoria viene commemorato, a piena pagina (come vedremo più avanti) una sola volta, nel n. 43 (del 29 ottobre) del 1938. Tale oblio sembra sia presente anche in altri giornalini a fumetti del tempo, forse con la sola eccezione del Balilla ovviamente tenuto ad esaltare tali circostanze.

Nel predisporre questi brevi racconti e narrazioni sulla Grande Guerra, lo scopo della Direzione era quella, fin dai suoi primi numeri, di ricordare e celebrare alcuni episodi bellici con particolar attenzione a trasmettere, agli attenti lettori, quelli che potevano esprimere atti di eroismo, audacia, altruismo, sacrificio, ardimento e amore per Dio, la Patria e la famiglia. In una parola un incremento dello spirito patriottico e religioso. Spiegare la guerra ai ragazzi significava trasformarla in una favola avventurosa nella quale siano ben tracciati i confini tra bene e male e dove il naturale timore per la propria incolumità possa essere contrastato da un pervasivo senso di protezione, rifiutando la pedagogia del ‘non far conoscere per proteggere’.
Questi i risultati della ricerca. Nell’anno 1937 vengono pubblicati cinque brevi racconti, corredati da disegni evocativi, ed un romanzo di sette puntate. L’anno 1938 i racconti sono dodici. Negli anni seguenti i ricordi bellici del primo conflitto scompaiono in fretta dal giornale: due racconti nel 1939, uno nel 1940 e uno nell’anno seguente. Poi più nulla[1]. Era iniziata la Seconda guerra mondiale e non c’era più spazio per un evento ormai lontano nel tempo.

Gli autori di questi racconti sono in gran parte scrittori o sceneggiatori già attivi su il Vittorioso: Spartaco Cozzi, Gigi dell’Orso, Agostino Poma, Gastone Rossi e Giuseppe Intersimone (un giovane notaio siciliano e assiduo collaboratore che si aggregò ai gruppi cattolici della resistenza romana). Gli autori delle immagini inserite nel testo, quelli riconoscibili, sono i medesimi che disegneranno delle storie a fumetti per il settimanale: Umberto Nava (Umbert), Giuseppe Francesco Romano (Rombo), Franco D’Aragona, Guido Grilli, Gaetano Vitelli e Athos Cozzi [2].
Queste narrazioni quasi sempre hanno un riscontro storico reale, vengono raccontate con un taglio avventuroso, oppure possono rappresentare un ricordo riportato a casa da qualche soldato o ricostruito dalle memorie di un cappellano militare. Li possiamo ora analizzare suddividendoli per tipologia descrittiva.

AVVENTURE IN GUERRA
I racconti narrano eventi non puramente bellici, spesso fortuiti, e tra l’altro esaltano il valore del soldato italiano che non ha bisogno di ricorrere ad armi o combattimenti per soggiogare il nemico. Bastano l’astuzia e l’ingegno italico per raggiungere lo scopo. I veri fatti di guerra appaiono quasi in sottofondo, attutiti.

Evasione. La più straordinaria avventura di guerra. Il tenente di Fanteria Enzo Jemma di Roma, viene fatto prigioniero nell’ottobre 1917, dopo una difesa eroica e con l’onore delle armi, ed internato nel campo di concentramento di Sigmundsherberg, un paese della bassa Austria. Riesce però a fuggire, con un commilitone, travestiti da soldati austriaci, «…uscendo tranquillamente dalla porta principale, fatta aprire dal guardiano, in pieno giorno, in faccia a tutti e poi camminare a passo normale in mezzo alla strada maestra! Soltanto ad un italiano poteva venire un’idea simile, soltanto un italiano poteva attuarla!» Con vari stratagemmi e sotterfugi raggiunge dapprima Vienna e da qui, attraverso i Balcani, le Bocche di Cattaro, poi il Montenegro ed infine l’Albania. Per poter superare le linee austriache si fingono soldati della Croce Rossa, ma di fronte a quelle italiane sorge un problema: essi sono in divisa austriaca! «Chi va là! – grida un soldato italiano. Ufficiali italiani – rispondono felici ed ansiosi. – La parola d’ordine o sparo! L’ultima grande trovata del tenente Jemma: ‘Non badare al mio vestito, siamo due tenenti italiani! Il tuo fucile si compone di canna, cassa, meccanismo di caricamento e sparo’. Non era la parola d’ordine ma andava bene lo stesso.» Il tenente Enzo Jemma fu insignito di Medaglia d’Argento al V.M. [Vittorioso 1937/24 e 25 – Testo di G. Rossi, disegni di Umbert. In allegato, al piede dell’articolo, il racconto completo.]

La beffa dei pupazzi. Nella notte del 20 giugno 1915, nella valle dell’Adige, i fanti della Brigata Mantova, che stazionavano lungo la linea ferroviaria, architettarono una beffa ai danni dei nemici. Volevano conoscerne la consistenza numerica e di munizioni, per poter decidere un’azione d’as­salto. «Confezionarono due pupazzi, alti come uomini, ripieni di paglia, vestiti con divise italiane, e li collocarono in piedi sopra un carrello ferroviario che lanciarono a tutta forza in direzione degli austriaci. Dai colpi degli spari dei nemici a questi fantocci, poterono arguire il numero di quelli postati nelle trincee.» Tuttavia il nemico austriaco volle vendicarsi del tranello-beffa e munirono lo stesso carrello di una mitragliatrice e di alcuni soldati. Inutilmente, perché i fanti italiani li stavano aspettando e ormai allertati fecero buona guardia. Riuscirono in tal modo a catturare senza colpo ferire carrello, mitragliatrici ed alcuni soldati nemici sbigottiti. [Vittorioso 1937/45 – Testo di Giacomo Ottello, dis. di Franco d’Aragona]

La granata di Capodanno. Hanns Zupancich è puntatore di un pezzo della 103° batteria ‘Landwer’ appostata nelle boscaglie di Vertoibizza, nel Goriziano. Nella vita civile è un incisore e durante un momento di riposo aveva inciso il suo nome sulla corona di una granata. Hanns il puntatore pensa di salutare l’anno nuovo del 1916 lanciandola verso le linee italiane. Fortunatamente per i nostri «… essa esplode a metà e viene raccolta da un sergente telefonista che se la trascina dietro, come talismano, per tutta la durata della guerra.» Finito il conflitto egli giunge con il corpo di occupazio­ne in Carinzia e prende alloggio in una villetta a Weissenfels. Guardandosi attorno nota su una parete una incisione con la firma ‘Hanns’; il confronto con il suo talismano conferma la stessa mano, e «… fra lo stupore dei presenti, il sergente è nelle braccia dell’artista che fu puntatore della 103° batteria ‘Landwer’.» [Vittorioso 1938/22 – Testo e disegni di Lapucci]

Ali tricolori su ViennaNon poteva mancare, in questa carrellata, un breve ricordo del famoso Volo su Vienna del 9 agosto 1918, quando Gabriele D’Annunzio con la squadriglia aerea ‘Serenissima’ lanciò su Vienna migliaia manifestini. Valore propagandistico alto, militare irrilevante. [Vittorioso 1939/32 – Testo di G. Intersimone, disegni di G. Vitelli]

AMORE DI MADRE
Queste vicende mettono in risalto sia i sacrifici che devono fare coloro che sono lontani dal fronte, sia l’amore tenero e spesso struggente che lega il combattente con la famiglia a casa, senza distinzione di nazionalità. Anche qui non si avverte il frastuono della battaglia.

La Vittoria. È già stata conquistata il 20 novembre 2015, durante la quarta battaglia dell’Isonzo, la quota 188 di Oslavia. Il caporale Italo Speri, ferito durante l’azione viene ricoverato nell’ospedale n. 87 di Codroipo. La madre, ricevuta la comunicazione della sua degenza, parte per un lungo viaggio che lo porta al suo capezzale. Il capitano medico rincuora e rassicura la madre, il figlio la tranquillizza: «Non è niente mamma, passerà tutto…». Nel letto accanto giace ferito al petto da una scheggia di granata un soldato austriaco, coperto di bende e fasciature. «Un nemico, esclama la madre! Ora non più – corresse dolcemente la crocerossina – un semplice combattente ferito bisognoso di cure.» Con voce flebile il ferito disse ‘Mutter’, la madre di Italo si curvò sul ferito, gli accomodò il cuscino, lo baciò sulla fronte. ‘Mutter’ nuovamente disse il ragazzo austriaco. «Dall’alto, sopra la parete, un Crocifisso, illuminato da un raggio di sole, sembrava riunire in un unico amplesso vinto e vincitore.» [Vittorioso 1937/49 – Novella di S. Cozzi]

Il centralino. Nelle tragiche giornate del giugno 1917, sull’altipiano di Asiago le offensive austriache si alternavano con quelle italiane e l’Ortigara veniva preso e ripreso. Alcuni addetti al centralino, dopo un breve tiro di preparazione delle nostre artiglierie, si spostano sotto le trincee nemiche per seguire l’attacco dei nostri alpini. Nel silenzio della notte si ode un flebile lamento: ‘Mutter… hilfe’. Tre alpini strisciano fino al ferito e lo portano nelle proprie linee. «Nessuno osa fargli del male. È ferito, impotente a difendersi, ha chiesto aiuto in nome della mamma, di tutti i milioni di mamme che attendono loro figli nelle case e pregano per essi. Certamente un giorno riabbraccerà la sua mamma adorata nel nome della quale aveva chiesto aiuto a chi, pochi istanti prima, erano nemici…» [Vittorioso 1938/1 – Testo di Anastasio Mariani, disegni di G. Grilli]

Non passa lo straniero. Gianni un giovane fante della classe 1899. L’ultima classe chiamata alle armi. Si trova con la sua compagnia nelle prime linee. Prima del pattugliamento notturno gli viene consegnata una lettera della madre, ma rimanda la lettura a dopo il rientro in trincea. «Non mangi il rancio? – gli dice Sandro, un anziano commilitone. È troppo salato – risponde Gianni. Pensa ragazzo mio, – risponde l’anziano, quanti sacrifici è costato questo rancio! Anche ieri tre soldati che portavano il rancio sono stati colpiti da una granata… L’eroismo è fatto di piccole rinunce. Se la minestra è salata puoi dire: vi ha pianto dentro mia madre; e se è insipida, puoi chiedere la vita di in uomo per un pugno di sale?». Al rientro nelle nostre linee, la pattuglia di ronda porta il corpo inanimato del giovane. «Sulle sue labbra un sorriso appena abbozzato: forse pensava alla lettera della Mamma che serrava sul cuore… I vecchi, i tanti reduci dalle dodici battaglie dell’Isonzo ed i ragazzi diciottenni del ’99, irrigiditi nella posizione del ‘presentat’arm’, salutano il primo caduto del­l’ultima classe chiamata alle armi! Di lontano si sente il gorgoglio delle acque del Piave che sembra mormori ancora ‘non passa lo straniero!’». [Vittorioso 1938/10 – Testo di Gigi dell’Orso]

TESTIMONIANZE DI AMICIZIA E ALTRUISMO
In queste storie si avverte da una parte il fragore degli scontri e l’amore patrio ma ancor più l’amicizia, la fratellanza e l’altruismo che connota l’incontro tra i soldati in prima linea ove è importante l’aiuto vicendevole.

Monte Santo. Una pagina di guerra. Fabio e Gianni sono due fanti, ma qualche screzio intercorre tra di loro. Fanno parte della stessa compagnia quando vanno all’assalto della trincea nemica con le granate a mano. Devono raggiungere il Monte Santo, posto sulla Bainsizza, «… e le macerie del Santuario che mostravano tristemente i loro ruderi sconvolti. Tra le rovine biancheggiava, in un gesto sublime di carità, la statua della Madonna, rimasta intatta miracolosamente.» «Il Capitano comanda l’assalto. Le mitragliatrici nemiche fanno udire il loro ticchettio sinistro, le pallottole mortali cercano il bersaglio ed una barriera di piombo tenta di arrestare la valanga umana che avanza. Inutilmente! I fanti sorpassano di corsa la zona scoperta, compaiono a poca distanza dalle trincee e le granate a mano aprono la strada agli attaccanti.» Gianni viene colpito seriamente e chiama aiuto. Arriva in soccorso da Fabio che «… scavalca gli ostacoli e gettandosi a terra striscia verso il compagno. Le pallottole sibilano sopra la sua testa ed una scheggia lo ferisce leggermente alla fronte, ma egli non cede. Radunando le sue forze se lo carica sulle spalle e lo riporta tra le linee amiche.» «Perdonami Fabio, dice Gianni, ti debbo la vita. La bianca Madonnina sospesa lassù nella nicchia scheggiata, sembra sorrida ai due che si stringono la mano commossi. Il tricolore sventola sulla cima più alta delle macerie. È la Vittoria!». Nella realtà questa conquista durò poco; dopo qualche giorno riprese la controffensiva austriaca e fu così che i progressi italiani compiuti con sanguinose giornate di battaglia ed ingenti perdite vennero in poche ore annullati. Dal Ministero della Guerra: ‘L’azione delle nostre fanterie fu superiore ad ogni elogio, e le gravissime perdite sofferte imposero il rispetto dovuto’. [Vittorioso 1937/10 – Testo di S. Cozzi, dis. di A. Cozzi]

Trincee. L’offensiva doveva essere prossima, a quota 900 la trincea nemica non distava che quattrocento metri. Il capitano Barichello ordinò al sottotenente di «… scegliere un manipolo di uomini tra i più sprezzanti del pericolo; di quelli che ci sguazzano dentro e quando soffiano le pallottole si passano la mano sull’orecchio, infastiditi dal loro soffio.» Essi dovevano distruggere il reticolato nemico posto tra le due trincee. La loro opera ebbe successo, ma il soldato Moroni venne ferito ad una gamba, il sottotenente gliela fasciò e lo fece trasportare all’ospedale da campo. «Il chirurgo esaminata a lungo la gamba esclama: Caro amico, v’è toccata dura, poteva costarvi anche di più. Ma vi costa già tanto: la vostra gamba va amputata. Il soldato rispose subito: E sia! Ma la Patria si può amarla e servirla anche con una gamba sola!» [Vittorioso 1938/37 – Testo di A. Poma, disegni G. Grilli]

MEDAGLIE AL VALOR MILITARE
Tra i racconti inseriti nel settimanale, alcuni hanno per oggetto atti di eroismo, audacia e sacrificio che hanno fatto meritare l’assegnazione di Medaglia d’Oro o d’Argento. Il contesto degli scontri è ben esplicitato e una certa suspense immedesima lentamente il giovane lettore nell’azione eroica.

Vette d’Italia: il Podgora. Prima Medaglia d’Oro. «Ritto sulla trincea, Decio Raggi guardava il monte Podgora, trasformato dagli austriaci in una fortezza formidabile, contro cui si era infranto ogni assalto, e ribattezzato con il tragico nome di ‘Calvario’. » La fanteria comprese che l’ora dell’attacco era arrivato. Era il 9 luglio 1915. «Fanti della Brigata casale, è giunto il grande momento! Siate degni della nostra Romagna! Dobbiamo vincere! Avanti Savoia! – Esclamò Decio Raggi.» Lanciatosi alla battaglia fu colpito al petto una prima volta, riprese ad avanzare ma un proiettile lo colpì una seconda volta ed egli stramazzò a terra. «Per non cadere in mani nemiche, vincendo lo strazio del corpo piagato, si rotolò di balza in balza giù per la discesa del monte, finché venne raccolto dai suoi uomini che incitò nuovamente a conquistare la trincea austriaca.» Morì nell’ospedale da campo di Cormons, «… quale era vissuto, soldato di Cristo e d’Italia, pronto a qualsiasi sacrificio, con il Crocifisso ed il tricolore stretti sul petto sanguinante.» Decio fu decorato con la Medaglia d’Oro al VM, la prima concessa nella Grande Guerra. [Vittorioso 1938/50 – Testo di G. Intersimone]

Col cuore e con i denti. L’ordine del Comando era di sorvegliare le vicinanze di un importante deposito di polvere e munizioni, il polverificio ‘Randi’, nei pressi di Lugo di Romagna e di cercare di acciuffare alcuni audacissimi soldati austriaci sbarcati a Porto Corsini che fino allora erano sfuggiti alle ricerche. La notte del 14 agosto 1918 il brigadiere dei Carabinieri Martino Veduti, con una piccola pattuglia, perlustrava la zona sospetta. All’improvviso scopre a terra una miccia che brucia molto in fretta verso il deposito. «Il brigadiere si attacca allora con tutte le sue disperate energie al filo e dà uno strattone: il filo non si spezza, la miccia non si spegne perché è a combustione interna e il tempo passa!» «Oramai la miccia è bruciata tutta, Martino Veduti si tuffa con la faccia su listarella. La morde, l’addenta, sputa sangue e denti», ma alfine la recide e la miccia è spenta. La polveriera è salva! «Al Brigadiere Veduti pare non aver fatto null’altro che il proprio dovere, ma quando si compie il proprio dovere con lo spirito di sacrificio, di umanità ed eroismo, la Patria compie il proprio dover nel decretare a quell’eroe la Medaglia d’Oro.» Achille Beltrame dedicò al Veduti una copertina della Domenica del Corriere ‘Un Brigadiere eroe’. Ma non è finita qui. Il nostro eroe, durante l’autunno del 1944, sarà un famoso capo partigiano nel cuneese dove aveva messo in piedi, per conto della 1° divisione di Giustizia e Libertà, un servizio di informazioni straordinariamente efficace. [Vittorioso 1937/35 – Testo di G. Rossi, disegni di Rombo. In allegato, al piede dell’articolo, il racconto completo.]

Bombardano Cortina. Dopo aver occupato molte postazioni tra il Garda e l’Adige, il Generale Cantore viene comandato a Cortina. Non è facile sloggiare gli austriaci dalle Tofane e dal Castelletto, da lassù il loro cannone tira di continuo su Cortina. Cantore si porta in prima linea, in piedi sulla trincea vuole vedere e valutare. Il suo attendente lo mette in guardia dai cecchini nemici, «… non è ancora stata fusa la pallottola per me, – risponde impavido.» Sbagliava. Quella che lo colpì a morte in fronte, poco dopo, era già stata forgiata. Era il 20 luglio 1915. A questo punto nel racconto entra prepotente un altro personaggio: Angelo Schiocchet, da Belluno, detto ‘Il diavolo delle Tofane’. Arrampicatore indemoniato, con altri impavidi sale sulle crode, prende sotto il fuoco dei fucili le postazioni nemiche e il 12 luglio 2016 guadagna una Medaglia d’argento per aver snidato dei tiratori nemici su Cima Bois, sulle Tofane. A questo punto val la pena descrivere brevemente una beffa sinistra che Schiocchet architettò, in memoria di Cantore, ai danni del nemico (e che qui non è riportata). Nell’anfiteatro delle Tofane erano concentrati numerosi tiratori austriaci. Chiede al suo sergente di suonare al violino la ‘Serenata di Schubert’, gli austriaci estasiati si radunano nel ghiaione ad ascoltare le note romantiche, ma dalla valle Schiocchet fa partire dei colpi di cannone che fanno una facile strage. [Vittorioso 1938/16 – Testo di Gigi dell’Orso, disegni di G. Grilli]

Pilota della morte. «In un freddo mattino del febbraio 1916, da un campo di aviazione sul Carso si sollevarono sette apparecchi da bombardamento diretti a Lubiana.» Il capitano Oreste Salomone pilotando uno degli aerei, un Caproni Ca 33, detto ‘Aquila Romana’, ingaggiò un duello aereo con i velocissimi caccia Fokker, apparsi all’improvviso. Il caccia nemico si abbassò, risalì, girò fulmineo sul fianco del velivolo italiano e lasciò partire tutti i colpi dell’arma. I due mitraglieri dell’ala tricolore furono colpiti a morte. Ma il capitano, a sua volta ferito, riusciva ancora a condurre l’aereo. «Con i gesti gli aviatori austriaci gli imposero di scendere, ma Oreste Salomone non volle arrendersi. L’Aquila Romana dipinta sulla prora dell’apparecchio era un monito ed una bandiera.» La Patria era ancora lontana ma riuscì a non svenire. D’un tratto scorse l’Isonzo, atterrò sul campo di volo e perse i sensi. «Salomone aveva riportato i suoi compagni in Italia, perché dormissero in pace nella terra nativa.» Fu il primo aviere italiano insignito di Medaglia d’Oro al VM. [Vittorioso 1938/38 – Testo di G. Intersimone, disegni di G. Vitelli. In allegato, al piede dell’articolo, il racconto completo.]

Cuori di leoni su fragili prore. «Notte del 10 giugno 1918. Due ‘Mas’ sono in agguato lungo il canale di Selve, vicino all’isola zaratina di Premuda, ansiosi di vendicare il morti di Lissa.» «Al­l’improvviso i comandanti videro profilarsi all’orizzonte, velato dalla nebbia mattutina, due grosse navi da battaglia, precedute da un cacciatorpediniere, fiancheggiate e seguite da dieci siluranti, che tessevano attorno ai colossi un invidiabile rete d’acciaio.» Si trattava delle moderne corazzate ‘Szent Istvan’ [Santo Stefano] e ‘Tegettoff’, che uscendo da Pola si stavano portando verso le Bocche di Cattaro. «Che fare di fronte ad uno schieramento così formidabile? Luigi Rizzo non indugiò un istante e con freddo e risoluto coraggio osò l’inosabile.» I due Mas si infiltrarono attraverso le siluranti, accostarono le corazzate e lanciarono i siluri verso la Santo Stefano che colpita a morte si adagiò su un fianco. «Con lo stesso ritmo dei motori pulsavano i cuori di quei eroi che avevano compiuto una delle gesta più clamorose della Grande Guerra.» Luigi Rizzo fu insignito della Medaglia d’Oro al VM. [Vittorioso 1939/52 – Testo di G. Intersimone]

L’eroico portaordini«Alfonso Samoggia, calzolaio bolognese, partì per la guerra giovanissimo, con l’involtino sotto il braccio e i baci della mamma, e per la sua alta statura fu assegnato al 2° Granatieri di Sardegna.» Dopo l’offensiva austriaca tra l’Adige ed il Brenta, il nemico era giunto davanti al monte Cengio, sul fronte di Asiago. Nel corso della battaglia, mentre la sua compagnia lottava corpo a corpo sotto il fuoco austriaco, il 3 giugno 1916 Alfonso Samoggia si offrì volontario per raggiungere il comando, dove inutilmente chiese l’aiuto dei rinforzi. «Allora Alfonso ritorna tra i suoi, ma come farà ora che i rinforzi invocati mancano ed ordini non ve ne sono? Sta pensando all’eroica legge dei Granatieri d’Italia: non si retrocede d’un passo, si muore sul posto.» Agonizzante il nostro portaordini, con voce rotta dai rantoli, pronuncia l’eroica frase: «Tenente, i rinforzi arriveranno, resista fino alla morte.» Questa frase fu definita come ‘La divina bugia’. Alla sua memoria fu decretata la Medaglia d’Oro al VM. [Vittorioso 1940/24 – Testo di Bruno Zuliani, disegni di G. Grilli]

COMBATTIMENTI E SCONTRI
Durante la guerra vi furono battaglie e scontri bellici che furono resi noti per dimostrare l’audacia e l’ardimento del soldato italiano. In questi racconti è preminente l’aspetto militare senza esaltazioni retoriche gratuite.

F7 ha colpito. È il 12 febbraio 1918. Il sottufficiale di guardia al periscopio del sommergibile italiano F7, in perlustrazione nell’Atlantico, ha inquadrato la sagoma di una nave nemica. Si tratta del piccolo piroscafo ‘Pelagosa’, una unità ausiliaria austroungarica, che transitava al largo dello scoglio di Guizza, attraverso il passo delle Selve, dalle parti dell’isola di Lussino. Il siluro prontamente lanciato dall’F7 lo colpisce e lo affonda. «Era una nuova vittoria dell’arma sottomarina italiana che oggigiorno è la più potente del mondo ed ha distanziato tutti in modo tale che sarà molto difficile se non impossibile raggiungerci.» Ma di questa storia bellica merita conoscere il proseguo, qui non menzionato. L’11 agosto dello stesso anno, il nostro F7 attaccò un altro piroscafo trasporto truppa austroungarico ‘Euterpe’, in navigazione con un migliaio di militari a bordo, al largo dell’isola di Pago. Centrato da due siluri, il piroscafo s’inabissò portando con sé 555 uomini. [Vittorioso 1938/17, Racconto di Aldo, disegni di G. Grilli]

Una volta per uno. Il piroscafo da trasporto italiano ‘Bormida’, il 16 ottobre 1916 è in navigazione da Valona a Santi Quaranta, accompagnato dal cacciatorpediniere ‘Nembo’ comandato dal Capitano di Corvetta Russo. Nelle vicinanze, in attesa della preda, navigava lento il sommergibile austriaco ‘U 16’. «Un siluro viene lanciato ed il caccia Nembo viene colpito in pieno, giusto a metà scafo, presso il locale delle macchine. Incomincia subito a sbandare paurosamente e in pochissimi minuti affonda trascinando nell’immane gorgo quasi tutto il suo equipaggio compreso il suo eroico comandante.» [saranno 32 su 55 i marinai scomparsi]. Colpito dalle bombe di profondità del caccia italiano, lanciate poco prima del suo siluramento, anche il sommergibile austriaco affonda. Quattro uomini della Nembo, pur potendo essere issati a bordo di una barca lanciata dal Bormida, preferiscono raggiungere a nuoto la riva perché sulla barca avevano preso posto alcuni marinai nemici. «Gli austriaci allibiscono e riguardano con muta ammirazione i quattro eroi che hanno ripreso con nuova lena le loro lunghe bracciate. Una volta a riva i nostri attendono l’arrivo dell’imbarcazione e così vanno incontro ai nemici: ‘Signori, una volta per uno; ora siete nostri prigionieri’. Bizzarria della guerra, ma una volta ancora dimostrazione della volontà e dell’eroismo dei nostri soldati.» [Vittorioso 1938/29 – Narrazione di Aldo]

Il Col di Sangue. Gelesio Caetani dei Duchi di Sermoneta era un ingegnere meccanico. E mai tale laurea fu più utile alla causa italiana. Il Col di Lana, vicino a Passo Falzarego, fu teatro di tali sanguinosi combattimenti che ricevette il sopranome di ‘Col di Sangue’. I minatori italiani sono intenti a minare il Colle da cui gli austriaci cannoneggiano le nostre linee. Il nemico però sta preparando una galleria di contromina. Bisogna arrivare primi! Viene chiamato il sottotenente del Genio Caetani. «Colonnello, se permette le scavo una galleria sotto il sedere degli austriaci» e gli abili minatori italiani provvedono. Alle 22.35 del 17 aprile 1917 la miccia fa esplodere l’enorme cumulo di esplosivo (5 tonnellate di gelatina dinamite) e la terra è scossa da un fremito pauroso. La vetta ed una parte della montagna crolla causando la morte di circa 150 militari austriaci. «In una baracca franata un austriaco è semi-imprigionato. Gli si avvicina il sottotenente Caetani e cerca di confortarlo non potendo fare altro. Die Italiener sind gute Leute, gli italiani sono brava gente, disse negli istanti della sua vita l’infelice (Sic!).» La leggenda, che continua ancor oggi, degli Italiani brava gente, forse incominciò allora sul Col di Lana! [Vittorioso 1938/31 – Testo di Gigi dell’Orso, disegni di G. Vitelli]

La Città di Jesi bombarda. Il dirigibile Città di Jesi, al comando di Bruno Brivonesi, decollò dal campo volo di Ferrara per effettuare un bombardamento sull’arsenale di Pola. «Trillano i campanelli di macchina ed i motoristi danno gas ai motori, la navicella vibra sotto l’impulso delle eliche e l’aeromobile inizia la sua avventura.» Dopo un’ora di navigazione, sulle isole Brioni, alla quota di 2.700 metri, i riflettori da terra lo inquadrano distintamente. Sganciate tutte le sue 30 bombe, Brivonesi dà l’ordine di invertire la rotta, ma un proiettile lo colpisce e l’idrogeno esce lentamente. L’aeronave perde quota, viene ordinato di gettare tutto il superfluo, ma la discesa continua inesorabile. Il personale si rifugia all’interno dell’involucro metallico per attenuare l’urto contro la superficie del mare e poi il capitano Brivonesi provvede ad affondare la bandiera di combattimento per non farla cadere in mano al nemico. Una volta caduti in acqua vicino a riva, viene reso inservibile il dirigibile e i nostri avieri «… disarmati, infradiciati di acqua, ma non domi nello spirito, vengono raccolti, con la consueta cortesia del mare, da un motoscafo austriaco. Li accoglierà durante la prigionia il terribile campo di Mauthausen. Ma il Città di Jesi non cadde in mano al nemico!» [Vittorioso 1938/34 – Racconto di Aldo, disegni forse di Vitelli]

TESTIMONIANZA DI FEDE
È la descrizione di episodi di audacia e sacrificio sublimati dal credo religioso e dalla testimonianza di fede e di amor patrio.

Le vie dell’esilio. Loreto Starace, originario di Castellammare di Stabia, era emigrato in America perché – disse al padre – «… io cerco in ogni occasione di aiutare i più poveri, di consolare quelli che il dolore dell’esilio fa sentire più amara la vita.» Poco prima dell’entrata in guerra dell’Italia, egli rientra in Patria perché: «Vado a versare il mio sangue non solo per formare l’Italia più grande ma perché divenga più nobile e più pura.» Fin dai primi giorni egli si distingue sul Carso e sull’Isonzo. Il 27 luglio 1916, durante la seconda battaglia dell’Isonzo [detta anche Battaglia di San Michele] viene colpito a morte. «Un ignoto fante lasciò detto di lui: negli assalti Loreto Starace è un leone. E questo leone aveva la Corona del Rosario stretta attorno al polso e sul suo cuore teneva l’Imitazione di Cristo.» Come si legge nella sua biografia Loreto Starace proveniva dall’Azione Cattolica e morì sul Carso in odore di Santità. [Vittorioso 1938/30 – Testo di Gigi dell’Orso]

Guido Negri – Il raggio e il fiore. Sono due semplici trafiletti, a firma Birillo, che narrano della Medaglia d’Argento al VM che il capitano Guido Negri, di Este, si meritò per essersi immolato, nel giugno 1916, sulla vetta del Colombara, sull’Altipiano d’Asiago. «Volle essere tra i suoi fanti per combattere tra loro ed animarli col suo esempio e colla sua parola.» Profondamente credente faceva parte dell’Azione Cattolica e dei terziari domenicani. [Vittorioso 1941/26 e 28]

UN ROMANZO A PUNTATE: FRATERNITÀ EROICA

Dal n. 35 al n. 51 del 1937, Spartaco Cozzi, con i disegni del fratello Athos Cozzi, pubblica un romanzo di sette puntate, dal titolo ‘Fraternità eroica’. È un racconto avventuroso ambientato durante il primo conflitto mondiale. In sintesi. Sul fronte italo-austriaco una compagnia di nostri fanti s’avvia a marce forzate verso le prime linee. Due giovani soldati Giorgio Mosetti e Mario Fornasari hanno stretto fra loro un’amicizia fraterna. Un giorno a Cormons durante la libera uscita incontrano un ragazzo, di nome Tonino, che barcolla sotto un peso eccessivo. Giorgio e Mario, che hanno un cuore eccellente, lo aiutano. Ora la voce del cannone si fa già sentire. L’ora del cimento è già scoccata, il loro reggimento ha raggiunto le trincee. Al Capitano occorrono uomini di fegato per ridurre al silenzio una mitragliatrice. ‘Presente!’ gridano i due amici. Con un’azione rapida e decisa si impadroniscono dell’arma, ma Giorgio è preso prigioniero. Aiutato da Tonino, pratico dei luoghi, Mario con un colpo di audacia libera l’amico, ma il ragazzo per permettere a loro la fuga, si immola. Si mettono in risalto i ‘piccoli eroi della guerra’, fanciulli coinvolti capaci di piccoli gesti di valore e di coraggio nonostante la giovane età.
Ma il romanzo non termina con la settima puntata, nel numero seguente continua per altre sette puntate, con lo stesso titolo e gli stessi protagonisti, che si ritrovano sulla nave che li porta nell’Africa Orientale a Mogadiscio. Combatteranno per la conquista dell’Impero. Non li ritroveremo più. In Spagna, volontario, andrà Romano. Ma questa è un’altra storia.

VENTENNALE DELLA VITTORIA
Il Ventennale della Vittoria nel primo conflitto mondiale, viene menzionato sul Vittorioso una sola volta: nei n. 43 e 44 del 1939. Dapprima un semplice lancio, a firma di Romano, dal titolo Per la Vittoria: Resistere! con brevi cenni sul Generale Cadorna. Poi la commemorazione a piena pagina, Ventennale della Vittoria, di Aldo e Romano, con disegni di G. Grilli, e con la descrizione dell’evento. Inizia così il resoconto: «Sul Grappa, sotto l’impeto delle truppe della IV armata, il fronte nemico è crollato… », e termina con: «Finalmente l’armistizio è concluso! …Il bollettino della Vittoria correva per le strade e le piazze della penisola.»

L’INUTILE STRAGE
Il nostro settimanale con il 1940 termina quindi qualunque rievocazione o accenno del primo conflitto mondiale, almeno fino ai primi anni del dopoguerra. Ma se perdurerà sempre la memoria dell’‘Inutile strage’, come ebbe a definirla Papa Benedetto XV, con seicentomila soldati italiani morti e altrettante vittime civili, per non parlare degli invalidi civili, non devono altresì rimanere dimenticati, ma ben impressi nella nostra memoria, i numerosi atti (spesso misconosciuti) di altruismo, di eroismo, di audacia, di ardimento, di sacrificio di tanti nostri soldati durante la Grande Guerra. Ai quali il rispetto, l’onore e il ricordo riconoscente devono e dovranno essere imperituri.

Alla fine di questo scritto inserisco due immagini che possono riunire le sofferenze patite da tutti i contendenti: un ex-voto a S. Antonio da Padova, di un alpino veneto, Vincenzo Perin, ritratto(si) vivo accanto a commilitoni feriti o morti, ed una rudimentale croce (due piccoli tronchi di abete e qualche chiodo arrugginito) che ho trovato una quindicina di anni fa in mezzo ai ruderi di una trincea austriaca, a passo delle Selle, nella zona dei Monzoni-S.Pellegrino, nella trentina Val di Fassa. Che sia di monito!

Fonte : “Guida del fumetto italiano”


Gli articoli di “L’edicola del fumetto”

[catlist name=ledicola-del-fumetto numberposts=1000]