a cura della Redazione “Jazz and Jazz”


Django Reinhardt, all’anagrafe Jean Reinhart (Liberchies, 23 gennaio 1910 – Samois-sur-Seine, 16 maggio 1953), è stato un chitarrista jazz francese. È ampiamente considerato uno dei più virtuosi ed influenti chitarristi di tutti i tempi, e ritenuto uno degli esponenti più significativi del jazz europeo.

Di quale Stato fosse cittadino Django Reinhardt è da sempre oggetto di dibattito a causa delle scarse informazioni personali che si hanno su di lui e, più in generale, sulla sua famiglia. I dati e le fonti sono spesso discordanti ma l’ipotesi più accreditata è che fosse cittadino francese: Django nacque nella roulotte di famiglia che si era stanziata a Liberchies, all’epoca comune autonomo, oggi località del comune di Pont-à-Celles (Belgio), il 23 gennaio 1910 e venne registrato all’anagrafe comunale, con il nome di Jean Reinhart (senza ‘d’), il giorno seguente con l’atto di nascita numero 2. La legge sulla cittadinanza belga dell’epoca (che rimase in vigore fino al 1º gennaio 1967 escluso) stabiliva che erano da considerarsi «belgi dalla nascita tutti i bambini figli legittimi di padre belga», ove per “legittimi” si intende “nati all’interno del matrimonio”.

Django era figlio di Jean-Baptiste Eugène Weiss e Laurence Reinhart detta Négros, una coppia di sinti originaria dell’Alsazia che aveva domicilio in Parigi; dato, quest’ultimo, riscontrabile anche nel certificato di nascita di Django. Il padre tuttavia preferiva usare il cognome della moglie e si faceva chiamare Jean-Baptiste Reinhart così da sottrarsi al servizio di leva obbligatorio francese e con questo pseudonimo sottoscrisse il certificato di nascita del figlio, anche se alla fine si firmò “J B Reinhard” (con la ‘d’ e senza ‘t’). Sul certificato si legge: “Reinhart, Jean […] figlio di Jean-Baptiste Reinhart, artista, di anni ventotto e di Laurence Reinhart, casalinga, di anni ventiquattro”. Django venne quindi registrato con il cognome della madre. Stante la succitata legge, Django era cittadino francese. Altre fonti invece sostengono che i suoi genitori avessero cittadinanza belga che poi, ai sensi della legge, avrebbero trasmesso al figlio.

L’originalissimo stile di Django Reinhardt, acclamato da musicisti di tutti i generi come geniale ed innovativo, si sviluppò in realtà in una vita di immersione fra i più grandi della tradizione gitana, e fu contaminato dalla sua vastissima cultura in musica classica, come riferisce Boulou Ferre. Se è vero che egli fu il primo gitano a conoscere la gloria riservata ai musicisti più popolari, e il primo a uscire dalla culla jazz francese con l’Hot Club de France di Stéphane Grappelli, era nel microcosmo gitano uno dei vari meritevoli discepoli di musicisti storici.

È anche grazie alla notorietà raggiunta che tutt’oggi viene considerato un eroe dai gitani. L’improvvisazione, anche sopra brani sentiti per la prima volta, è la base dello spirito musicale dei Manouches, e proprio l’improvvisazione era una delle caratteristiche che contribuivano a scioccare anche i professionisti che assistevano alle sue performance. Stéphane Grappelli, un violinista innovativo, protagonista della rivoluzione degli anni ’20 da musette a ragtime, si innamorò di quello spirito che vedeva tutti gli strumenti come potenzialmente solisti e talvolta capricciosi.

Un giorno, durante una jam session (sessione improvvisata), gli fu chiesto se pensava che Eddie South (famoso violinista) avesse studiato musica. Stéphane Grappelli rispose: “Sì. Troppo”. Sembra strano per chi per merito di uno studio continuo era in grado di eseguire brani di tutti i generi, e per una persona dall’apparenza così raffinata; eppure anch’egli aveva vissuto la vita da errante, suonando per la strada e nei cortili dei ristoranti, e debuttando nel trambusto del foxtrot.

Si possono aggiungere due ulteriori note per cercare di comprendere tale affinità: Django, pur essendo in grado di capire, smontare e trasformare ogni musica, non solo non sapeva scrivere o leggere un semplice spartito, ma era anche completamente analfabeta. Essendo molto vanitoso, chiese che Stéphane Grappelli gli insegnasse a scrivere il suo nome, in modo da poter firmare gli autografi. Un giorno, mentre il quintetto giocava a carte, Django e Joseph (uno dei suoi fratelli, con lui nell’Hot Club) ascoltavano Stéphane Grappelli, il secondo chitarrista ritmico Roger Chaput e il contrabbassista Louis Vola discutere di scale musicali. Dopo un certo tempo Django si rivolse a Grappelli candidamente, chiedendogli con curiosità: “Cos’è una scala?”. Nonostante questa apparente distanza, Stéphane Grappelli dichiarerà più tardi che ascoltare Art Tatum, uno dei più noti pianisti jazz di tutti i tempi, lo aiutò a suonare con Django ampliando la sua prospettiva.

L’esperienza del Quintetto dell’Hot Club nacque nell’ambiente musicale francese, dove in quegli anni si trovavano indifferentemente musicisti di formazione classica, musicisti neri afroamericani emigrati dall’America e zingari di tutta l’Europa (zigani, gitani, manouches…). Lo stesso succedeva in alcune zone degli Stati Uniti, come New Orleans, in cui il Quintetto trovò una seconda casa. Nella cultura gitana, le persone sono designate spesso dal soprannome. Oggi si conoscono Bireli Lagrene, Stochelo Rosenberg, Tchavolo Schmitt, ma questo è solo un effetto della popolarità raggiunta da questi chitarristi. Nell’ambiente gitano nessuno parla mai di “Django Reinhardt”, ma solo di “Django”. Nelle più vecchie registrazioni il suo nome era indifferentemente scritto come “Django” o “Jeangot”, la cui lettura è molto simile per un francese, e mai si trova “Jean Reinhardt”.

Fonte : “wikipedia-jazz”