a cura della Redazione Spazio Interattivo


Esplode nell’edizione svedese il calcio brasiliano che presenta un attacco formidabile con giocatori di classe irraggiungibile. C’è anche un ragazzino diciassettenne destinato a diventare «O’ Rey» del football mondiale. Svezia e Francia sono le sorprese, Italia assente per la prima volta.

Nei turni eliminatori l’Italia conobbe la più disastrosa esperienza di tutta la sua storia calcistica. Nonostante l’apparente salute – Fiorentina e Milan s’erano opposte con onore nelle finali della Coppa Campioni, allo strapotere del Real Madrid – il nostro calcio era minacciato alla base da un equivoco tattico che aveva stravolto gli orientamenti dei vivai. Si era introdotta la specializzazione dei ruoli, così uno stopper era in grado di fermare il centravanti con qualsiasi mezzo e se gli si richiedeva un appoggio attendibile, non era in grado di farlo, i centrocampisti dai quali si esigeva la lunga battuta a saltare il centrocampo avversario avevano perduto l’abitudine alla corsa, agli uomini di fondo si preferivano i fini dicitori, che di fronte alle performances atletiche degli avversari sparivano come neve al sole.

La nostra rappresentativa nazionale era chiusa in angusti schematismi e la fantasia, dote essenziale era affidata agli oriundi; a Belfast, il 15 gennaio 1958, nel giorno più nero della nazionale azzurra, la commissione tecnica della quale facevano parte Ferrari, Mocchetti e Biancone, schierò una formazione non omogenea, velleitaria e senza fondamento, con un attacco così formato: Ghiggia, Schiaffino, Pivatelli, Montuori, Da Costa. Non bastarono i grossi nomi a farci guadagnare la qualificazione con l’Irlanda ed oltre all’amarezza per il risultato negativo che aveva messo a nudo la povertà assoluta del nostro calcio, balzò evidente l’incapacità dei reggitori la Federazione ad approntare un programma di fondo coerente alle nostre possibilità.

Anche l’Uruguay attraversava un periodo poco felice e si giocò la qualificazione sul campo di Bogotà, quando non riuscì ad andare oltre il pareggio con la modesta Colombia. Ne approfittò il Paraguay, che aveva colto gli uruguagi privi di Schiaffino e Abbadie, emigrati in Italia e con i grandi del ’54 Andrade, Miguez, Ambrois, Hobherg, ormai avviati sul viale del tramonto.

L’impatto con la Coppa del Mondo avvenne ad Uddevalla l’8 giugno contro l’Austria. Feola, sulla scorta delle indicazioni della preparazione schierò: Gilmar; De Sordi Bellini Orlando Nilton Santos; Dino Didi; Joel Altafini Dida Zagalo secondo il nuovo schieramento a 4-2-4 che i brasiliani avevano assunto dal ’56 analizzando gli insegnamenti della «squadra d’oro» ungherese. Vinse facile 3-0 con reti di Altafini (2) e Nilton Santos, ma il «gordo» non fu soddisfatto della prova degli attaccanti che a suo dire avevano difettato di incisività.

Con l’Inghilterra Feola sostituì Dida con Vavà, centravanti di sfondamento del Vasco de Gama, carente sul piano tecnico, ma forte, coraggioso ed irruente e l’andamento della partita fu alterno. Nella prima frazione prevalsero i brasiliani che non riuscirono a concretizzare il gioco che in due occasioni sfortunate: una prodezza di Mac Donald su girata di testa di Altafini, salvò la porta inglese ed una saetta di Vavà scagliata da 20 metri si infranse sulla traversa. Nella ripresa affiorò la maggior consistenza fisica degli inglesi e Gilmar corse qualche pericolo, ma il risultato rimase inchiodato sullo 0-0. Per i «cariocas» il pareggio assunse i contorni della sconfitta e Feola il giorno appresso invitò i giocatori ad esprimere la propria opinione sulle cause dell’insuccesso nel corso di una riunione alla quale erano tutti presenti.

La discussione fu accesa. Didi, Nilton Santos e Bellini fecero prevalere una linea critica che prevedeva l’allontanamento di Dino Sani, Altafini e Joel in favore di Zito, Pelé e Garrincha e Feola si adattò di buon grado all’invito, poiché segretamente aveva sollecitato questa soluzione e contro l’URSS dal gioco schematico e possente mandò in campo una formazione così composta: Gilmar; De Sordi Bellini Orlando Nilton Santos; Zito Didi; Garrincha Vavà Pelé Zagalo. L’inquadratura definitiva che avrebbe subito una sola variante nell’incontro con il Galles. I primi 5′ di gioco procurarono una girandola di emozioni folgoranti.

Gli «auriverdi» sgusciavano da tutte le parti, già al primo minuto Garrincha ridicolizzava Kutznetsov e sparava contro Jascin ma la palla incontrava il palo nella sua traiettoria; al 2′ ancora Garrincha abbordava l’area dalla destra e serviva Vavà la cui folgore si infrangeva nuovamente sui legni, ma al 4′ Jascin nulla poteva sul tiro di Vavà che squassava la rete e il Brasile passava in vantaggio. Il portiere sovietico ebbe modo in quell’incontro di mettere in vetrina tutte le proprie qualità, poiché gli avanti brasiliani costruirono la bellezza di 12 palle gol che Jascin neutralizzò con immensa bravura. Fu battuto nuovamente da una folgore di Vavà nella ripresa e tanta era l’irruenza e la determinazione del centravanti del Vasco, che sullo slancio terminò a terra e si infortunò piuttosto seriamente. Pelé, che era al debutto nella Coppa del Mondo, si segnalò per la facilità di palleggio, per le rincorse, i dribbling, le frenate repentine, uno spettacolo nello spettacolo, coronato da un servizio perfetto a Vavà della palla del secondo gol. Il giorno dopo la stampa calcistica di tutto il mondo coniava la parola d’ordine di quel mondiale: «Nessuno può battere questo Brasile».

Con il Galles privo di Charles, che era arrivato ai «quarti» vincendo un drammatico incontro con l’Ungheria, Altafini fu chiamato a sostituire l’infortunato Vavà e l’ostacolo fu superato grazie ad una prodezza di Pelé: stretto palleggio in area ad ingannare Williams e sinistro radente che batteva Kelsey. Quello che diverrà «O rey» che già aveva colpito una traversa con un tiro fiondante, fu colto dal pianto nel mentre veniva festeggiato dai suoi e Didi lo consolava come si conforta un ragazzino scoperto a rubare la marmellata. La prestazione con i gallesi era stata inferiore a quella con i russi e la semifinale che vedeva opposti gli «auriverdi» all’undici francese era attesa con grande incertezza poiché i transalpini vantavano il miglior attacco del torneo e la rete di Gilmar era ancora inviolata.

Il 29 giugno 1958, Stoccolma, lo Stadio di Rasunda, sono data e località storiche nella travagliata vita del calcio brasiliano’. Feola fu costretto a rivedere la formazione poiché De Sordi s’era reso indisponibile per infortunio dopo l’incontro con i francesi e allineò: Gylmar; Dyalma Santos, Bellini, Orlando, Nilton Santos; Zito, Didi; Garrincha, Vavà, Pelé, Zagalo. I brasiliani abbandonarono la divisa «auriverde» concedendo ai padroni di casa la scelta della tradizionale tenuta di gioco e vestirono «camiseta» verde e pantaloncini bianchi. Raynor confermò la formazione che si era rivelata coma la migliore nel corso del mondiale: Svensson; Bergmark Axbom; Borjesson Gustavsson Parling; Hamrin Gren Simonsson Liedholm Skoglund.

Quando il francese Guigne aprì le ostilità gli svedesi si avventarono in avanti in velocità quasi a voler intimorire i sudamericani e già al 9′ Liedholm, ricevuta una palla da Simonsson e intuito lo spiraglio giusto, sparò basso alla destra di Gylmar, squassando la rete. Zito Pelé, Garrincha che erano i più giovani rimasero scioccati dall’ardire dei padroni di casa, ma fu cosa breve: ci pensò Didi a fugare i timori dall’alto della sua esperienza.Per un attimo, davanti agli occhi di Didi, che nel ’50 era già in attività ed aveva vissuto dagli spalti, la tragedia del Maracanà, apparvero i fantasmi di Schiaffino, Ghiggia, Varela, ma poi la paura si dissolse, già al 15′ Garrincha si scatenava sulla destra, atterrando con la finta Axbom e sul suo centro radente irrompeva Vavà che deviava in rete.

Con identica azione i verdi passarono al 34′ dopo che Pelé sul limite dei sedici metri, ricevuta la palla, il santista la controllò con il destro e con un palleggio aereo la fece passare sulla testa di Gustavsson, sparando poi di sinistro nell’angolo basso alla destra di Svensson. I radiocronisti brasiliani sembravano impazziti, il lungo urlo del «goooooool» sembrava un ululato senza fine e quando l’incontro sviluppava ancora le sue trame sul verde tappeto di Rasunda, a Rio a San Paolo, nelle grandi metropoli brasiliane, nei piccoli villaggi dell’interno, si scatenò una sarabanda irresistibile, tutta l’esuberanza, la gioia incontenibile, l’entusiasmo della «torrida» compressi per lunghi anni, si rovesciarono per le strade, improvvisando una festa che non si era mai vista prima. Intanto continuava la marcia trionfale, Zagalo segnava l’unico gol del suo mondiale, Simonsson rendeva meno gravoso lo «score» e proprio al 45′, mentre Guigne stava controllando il tempo per emettere il triplice fischio finale, Pelé suggellava con l’ultimo gol il trionfo delle virtù calcistiche dei fenomenali calciatori brasiliani.