a cura della Redazione Spazio Interattivo


Viene assegnata definitivamente la Coppa Rimet ed a conquistarla è la squadra guidata da O’Rey al suo terzo titolo in dodici anni. Dopo i carioca si classifica l’Italia che in semifinale ha disputato con la Germania la più appassionante partita della storia calcistica di un Mondiale.

La Germania di Schoen che si apprestava ad incontrare l’Italia era squadra fortissima sul pia­no atletico, e questa era una ca­ratteristica comune a tutte le rappresentative che avevano ono­rato negli anni il calcio tedesco ma questa vantava un «sur­plus» di classe internazionale che la rendeva oltremodo ostica a qualsiasi avversario. Maier era un «torhuter» nettamente supe­riore alla media, Vogts, un masti­no indomabile, Beckenbauer il tocco di classe, con Overath elementi di spiccata personalità te­cnica e in avanti alla tenacia e alla abnegazione dell’oramai sta­gionato Uwe Seeler, Gerd Mùller addizionava un opportunissimo stupefacente, una capacità diabo­lica di essere presente là dove era la palla buona da scaraven­tare in rete. Qualcuno definì Mül­ler « l’uomo del ralenty» per­ché certe sue invenzioni nella zona del gol, sfuggivano all’identi­ficazione immediata, solo la «moviola» rallentandone i movi­menti, rendeva giustizia al suo fiuto innato, al suo essere sem­pre in agguato come una vera «tigre» dell’area di rigore.

Le due formazioni vennero schiera­te al meglio: Albertosi; Burgnich Facchetti; Bertini Rosato Cera; Domenghini Mazzola Boninsegna De Sisti Riva e Maier; Vogts Patzke; Schnellinger Schultz Be­ckenbauer; Grabowski Overath Seeler Mül­ler Lohr. Dopo appe­na 8′ l’arbitro messicano Yamasaki annotava la rete del vantag­gio azzurro: Boninsegna, il ma­gnifico «Bonimba», realizzava con un tiro preciso alla destra di Maier e per tutto il primo tempo l’incontro denunciava un andamento alterno, in cui gli az­zurri avrebbero potuto raddop­piare e i tedeschi raggiungere il pareggio. Nella ripresa Valcareggi ordinò a Mazzola di pas­sare il testimone a Rivera, la for­mazione italiana perdeva consi­stenza a centrocampo, mentre l’iniziativa dei tedeschi si faceva sempre più pressante. Al 90′ il libero milanista Schnellin­ger, in proiezione offensiva, rac­coglieva un centro nel cuore della della difesa azzurra e batteva Albertosi.

I tempi supplementa­ri risultarono quanto di più drammatico si potesse immagi­nare su un campo di calcio. Beckenbauer era costretto a gio­care con un braccio al collo, le energie cominciavano ad affievo­lire, eppure quella mezz’ora di grande calcio, senza più schemi e calcoli speculativi, meritò una lapide a ricordo su una parete dell’Azteca. Una successione di colpi di scena rendeva oltremo­do drammatico lo scorrere dei minuti: al 94′ Mül­ler portava in vantaggio i tedeschi e per gli azzurri sembrava finita, ma pareggiava Burgnich (sic) sugli sviluppi di una punizione al 98′ e poi Gigi Riva, 5′ più tardi ri­portava in vantaggio i nostri con il gol più bello delle semifina­li. Ancora Mül­ler pareggiava al 109′ con un sussulto d’orgoglio, ma un minuto dopo una prolun­gata azione di Boninsegna sulla sinistra travolgeva gli sbarra­menti difensivi dei «bianchi», la palla perveniva sul centro e Rivera con un colpo calibrato la collocava alle spalle di Maier preso in controtempo. Era la fine! 4-3, gli ultimi 10′ passarono lentissimi a scandire il trionfo degli azzurri e ad appesantire le coronarie di tutti gli italiani che assistevano all’incontro.

Contemporaneamente a Guadalajara si giocava l’altra semifi­nale. L’Uruguay era arrivato alla porta delle semifinali senza grandi clamori. Aveva battuto Israele (2-0), pareggiato a reti bianche con gli azzurri, perdu­to di misura dalla Svezia (0-1), la celeste passava ai «quar­ti» e superava l’URSS con una rete di Esparrago, Il tecnico Hobherg protratta­si nel tempo l’indisposizione di Rocha aveva accentuato le ca­ratteristiche difensive dell’«equipo» che giocava in contropiede ed irretiva gli avversari in un centrocampo fitto, dalla mano­vra lenta e dilatoria. Si trovò a disagio anche il Brasile che Zagalo aveva mantenuto nella formazione che aveva sconfitto l’Inghilterra.

Sulla carta Hob­herg aveva presentato una «ce­leste» a 4-3-3 con: Mazurkiewicz; Ancheta Matosas Ubinas Montero Castillo; Mujca Fontes Cor­tes; Cubilla Maneiro Morales, ma alla prova dei fatti dopo che Cubilla aveva portato in van­taggio gli uruguagi al 18′ le distanze fra i reparti si erano accorciate nel tentativo di con­trollare il gioco, le maglie difen­sive invischiavano la manovra degli «auriverdi», la «selecao» sembrava impigliata in una rete dalla quale non riusciva a libe­rarsi. Poi nel recupero della pri­ma frazione Clodoaldo riuscì a perforare il dispositivo e quan­do la fatica dei supplementari con l’URSS cominciò ad affiorare nei muscoli degli uruguagi, a 15′ dalla fine Jairzinho trafig­geva Mazurkiewicz e Rivellino, arrotondava il punteggio ad un minuto dal termine. Brasile e Italia si sarebbero quindi dispu­tate il possesso definitivo della Coppa Rimet.

Gli azzurri arrivarono alla fina­le con i muscoli avvelenati dai supplementari con la Germania e con l’appagamento del risulta­to così inaspettatamente raggiunto. Valcareggi, soddisfatto della spe­rimentata staffetta insisteva sulla formazione iniziale così concepita: Albertosi, Burgnich Facchetti; Bertini Rosato Cera; Domenghini Mazzola Boninsegna De Sisti Riva con Rivera pronto in panchina.

Zagalo confermava la formazione storica: Felix; Car­los Alberto, Brito, Piazza, Everaldo; Gerson Clodoaldo; Jairzinho Tostao Pelé Rivelino. Glockner fischiò l’inizio alle 12 di quel 21 Giugno, Italia e Brasile paraliz­zate davanti al video. Gli azzur­ri si disponevano nella marcatu­ra a uomo: Bertini su Pelé, Fac­chetti, Burgnich e Rosato rispet­tivamente su Jairzinho, Rivelino, e Tostao, gli «auriverdi» non avevano di questi problemi pedestri, marcavano a zona. Valcareggi aveva predisposto un filtro efficace sulla trequarti ma gli azzurri giocavano come frenati, attenti solo a rompere le elegan­ti manovre che la vocazione of­fensiva dei brasiliani comincia­va ad ispirare.

Al 18′ Pelé si ele­va a colpire una palla arrivata­gli dalla sinistra. Pare atten­dere, sollevato in aria, quella palla che con un colpo di testa, come una mazzata si spegne in rete alla spalle di Albertosi. For­midabile! Gli azzurri non hanno reazioni particolari, riescono a pareggiare al 37′ grazie ad uno svarione di Everaldo prontamen­te sfruttato da Boninsegna, ma il fatto appare episodico, il Bra­sile continua a premere men­tre la resistenza dei nostri si affievoglisce e saltava gli sbarramen­ti che Valcareggi aveva sapien­temente predisposto. Segnano ancora Gerson al 65′, con un tiro di rara bellezza scagliato dal li­mite dei sedici metri, Jairzinho al 70′, cogliendo la nostra difesa ormai sulle ginocchia e Carlos Alberto all’86’ nella più bella ma­novra di tutta la partita: Clodoaldo si libera in dribbling sul centrocampo e smista a Jairzinho che cerca Pelé; «O Rey» controlla e apre magni­ficamente sulla destra dove sta avventandosi Carlos Alberto; il tiro è violento e preciso, Albertosi è battuto.

Finisce 4-1 fra il tripudio dei brasiliani e dell’im­menso pubblico – 105.000 spet­tatori – che ha assistito all’in­contro. Pelé è in trionfo è l’apo­teosi del calcio offensivo, il Bra­sile ha vinto, Pelé è stato una volta di più il Re del «mondo del pallone» e quando Carlos Alberto eleva al cielo la statuet­ta che Jules Rimet aveva messo in palio nel 1930, l’Azteca esplo­de nell’osanna ai vincitori. Ma abbiamo lasciato in chiusura un particolare che incise profonda­mente negli avvenimenti succes­sivi delle cose di casa nostra. Valcareggi forse trasportato dal­le emozioni del momento, oppu­re travolto dalla evidente superio­rità dei brasiliani, si accorse di avere Rivera in panchina a soli 6′ dal termine quando ormai il risultato era fissato sull’1-3 e lo mandò in campo a sostituire Mazzola. Qualcuno giudicò l’av­venimento come un affronto e tanta fu l’abilità di una certa stampa, che riuscì ad insinuare il dubbio che con Rivera in campo fin dall’inizio avremmo potuto disporre dei brasiliani, come un Messico qualsiasi.

E fu questa ignobile partigianeria che innestò l’ancora più ignobi­le accoglienza che fu riservata agli azzurri quando rimisero pie­de sul suolo patrio, con l’incre­dibile processo davanti alla TV e le cariche della polizia a di­sperdere i facinorosi intenzionati a bastonare chi aveva tanto ma­lignamente attentato al presti­gio del «golden boy». Un’ av­ventura che aveva riportato il nostro calcio a livelli inusuali da più di un trentennio, finiva in una farsa indegna di un paese civile. II ritorno in patria dei no­stri si chiudeva con una pagina amara da dimenticare in fretta. Nessuno nelle condizioni ambien­tali di Città del Messico, sareb­be riuscito a far meglio di quan­to fecero gli azzurri contro il Brasile di Pelè in quell’occasione.