a cura della Fondazione Umberto Veronesi


In Italia almeno 30.000 bambini hanno bisogno di cure palliative. Molte le credenze errate da sfatare e ora anche un videogame per educare i più giovani
Cure palliative: i bisogni dei bambini

Si è tenuto a Rimini il Convegno Nazionale della SICP, Società Italiana di Cure Palliative. Fra i tanti temi si è discusso di quello, delicatissimo, delle cure palliative per i bambini e i ragazzi. 

CURE PALLIATIVE PEDIATRICHE, UN MONDO SOSPESO CHE FA ANCORA PAURA

Quello delle cure palliative pediatriche è infatti ancora un mondo sospeso. È quello di bambini e ragazzi la cui esistenza dipende da una macchina o che quotidianamente e, magari per anni, devono fare i conti con un dolore fisico e psicologico che impatta sul loro essere bimbi a fatica, sulle loro famiglie ristrette e allargate, sulla scuola e su molte altre persone che gravitano intono a loro. «Sono almeno 30.000 questi bambini e adolescenti, ma poco cambierebbe se ce ne fosse solo uno al mondo», spiega Franca Benini, pediatra neonatologia, responsabile Centro Regionale Veneto per la Terapia del Dolore e delle Cure palliative Pediatriche presso il Dipartimento di Salute Donna a Bambino a Padova e, soprattutto, antesignana nel nostro paese di una strategia di cura tanto articolata e complessa quanto misconosciuta. Di cure palliative si parla poco, troppo poco. La ragione è piuttosto ovvia: fanno paura, tanto più, quando i destinatari sono i bambini. E molte sono le false credenze che vanno sfatate.

LE CONVINZIONI SBAGLIATE

«Erroneamente, per esempio, si pensa – sottolinea Momcilo Jankovic, pediatra onco ematologo dell’Università Milano-Bicocca, membro del Comitato di Bioetica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano dal 2010 – che queste terapie coincidano con il fine vita o che riguardino solamente le malattie oncologiche. Quando invece, in ambito pediatrico, vengono utilizzate per più dell’80% dei casi per malattie genetiche, neuro degenerative e metaboliche». Si tratta di cure complesse e articolate, che richiedono conoscenze precise per essere somministrate al meglio. Ciò implica la presenza di una rete territoriale capillare che metta in comunicazione lo specialista, il medico di base, il 118. «L’obiettivo – precisa Jankovic – è la gestione domiciliare che permette al bambino (ma il discorso vale in generale, anche per gli adulti) di vivere nel suo ambiente, ossia nella situazione più “normale” possibile». Anche perché, e questa è la notizia più rassicurante, le cure palliative funzionano. I farmaci che abbiamo a disposizione sono in grado di tenere a bada il dolore nella maggior parte dei casi.

SI PARTE DALLA COMPRENSIONE DEL DOLORE

«Bisogna tenere conto però di un fatto», sottolinea Giada Lonati, direttrice socio sanitaria Associazione Vidas, che da parecchi anni garantisce assistenza a pazienti (dal 2015 anche bambini) con patologie inguaribili, «che ci sono diversi tipi di dolore: il dolore fisico, ma anche quello psicologico, sociale e spirituale. Sono tante facce della stessa medaglia. Sono la declinazione di un dolore totalizzante che richiede una gestione da parte di una équipe esperta e composita da figure professionali molto diversificate: dal medico allo psicologo, dall’assistente sociale al fisioterapista, dal logopedista all’educatore (nel caso dei bambini)». Ciò significa anche che, come precisa Federico Pellegatta, coordinatore infermieristico Casa Sollievo Bimbi dell’Associazione Vidas e membro Tavolo tecnico Ministero della Salute per l’applicazione selle Legge 38 del 2010 sulle cure palliative, il dolore è davvero una questione molto personale e soggettiva. E capirne l’impatto su quel bambino, su quell’adulto e su quella famiglia implica tempo, fatica, sforzi. A cominciare dalla comunicazione di una patologia che determinerà dolore e a volte una prognosi infausta. È la sedia che scotta, quella delle brutte notizie che i medici devono, loro malgrado, riferire e lo devono fare in maniera adeguata, tenendo conto delle caratteristiche della persona che hanno di fronte.

UN VIDEOGAME GRATUITO PENSATO PER I RAGAZZI

Presentato per la prima volta in occasione del Convegno di Rimini Dare, un videogioco ad alta valenza sociale, pensato per ragazzi tra i 14 e i 19 anni e ideato dalla Fondazione Maruzza (organizzazione impegnata nel campo della terapia del dolore e delle cure palliative pediatriche per i minori affetti da malattie inguaribili). Obiettivo? Sensibilizzare i più giovani sulle patologie inguaribili e sulle cure palliative pediatriche. Lo scopo del videogame, disponibile gratuitamente per Android sulla piattaforma Google Play, è quello di avvicinare i più giovani al tema delle cure palliative, conoscere le emozioni che possono scaturire durante l’incontro con una persona malata (disorientamento, curiosità, imbarazzo, paura, superamento del pregiudizio) e stimolare un dibattito. Concretamente il giocatore veste i panni di un adolescente ricoverato in ospedale a causa di un incidente; il suo mondo è a pezzi e vede la sua vita in frantumi. Durante la notte una ragazza del reparto di neurologia pediatrica si rifugia in camera del ragazzo per sfuggire al turno di notte. La sua «missione» è raggiungere il distributore automatico al piano terra per prendere dei dolci. Il gioco presenta diversi livelli di difficoltà e l’utente dovrà combattere contro un nemico: l’avatar del pregiudizio. Uno strumento che parla il linguaggio dei ragazzi e li incoraggia ad essere aperti allo scambio e a non farsi spaventare dalle emozioni, anche negative, che possono emergere nell’incontro con un coetaneo ammalato. Il gioco, infatti, mostra come superando paure e pregiudizi sia possibile scoprire la profondità di valori universali come l’amicizia.

Fonte : FondazioneVeronesi , articolo di Paola Scaccabarozzi