di Antonio Esposito


Raffaele Sacco – Federico Campanella (o Gaetano Donizetti)

Esiste una piccola diatriba sulla progenitura della canzone napoletana d’autore. Secondo alcuni è Te voglio bene assaje. Ma secondo i più, Funiculì funiculà.
Per logica questo dibattito non dovrebbe esistere.

Te voglio bene assaje è del 1839, mentre Funiculì funiculà è del 1880, quindi è evidente quale sia nata prima.

Tuttavia, la canzone del 1839, anche se sicuramente ha aperto la strada, è nata come opera di improvvisazione e solo in seguito fu trascritta, forse nemmeno dallo stesso autore, che era Raffaele Sacco.

Al contrario Funiculì funiculà fu scritta e musicata da Peppino Turco e Luigi Denza prima di essere presentata e quindi cantata alla Piedigrotta.

Raffaele Sacco era un cosiddetto “improvvisatore”, cioè un poeta che si esibiva creando sul momento il brano che cantava. Quelli che riscuotevano maggiori consensi entravano a far parte del suo repertorio estemporaneo. Quindi privi di un testo scritto e di conseguenza soggetti a continue variazioni.

Un successo senza precedenti per Te voglio bene assaje

Ma tutta questa premessa nulla toglie allo strepitoso successo che ottenne Raffaele Sacco con questa canzone.

Presentata il 7 settembre del 1839 alla festa di Piedigrotta fece cantare per diversi anni una città intera. Vendette 180.000 copielle, cioè dei fogli volanti sui quali erano stampati i testi e gli spartiti di una canzone. Precursori cartacei dei dischi, insomma.

180.000 era un numero stratosferico rispetto a quelle che erano le vendite dell’epoca. Si ritiene che una canzone di grande successo non superasse le 5.000 copie e solo poche elette arrivassero intorno alle 10.000.

In tanti si sono chiesti il motivo di questo grande successo. Alcune risposte sono le meno gratificanti per le virtù poetiche di Sacco. Infatti, il testo è ritenuto ben poca cosa, se si esclude il ritornello.

“Te voglio bene assaje
E tu non pienze a me”.

Una sonorità semplice e accattivante che affascina un’intera città.

Un tormentone insopportabile invade la città

Una critica quindi poco lusinghiera per Sacco ma non la peggiore. Secondo alcuni studiosi proprio quel ritornello non era tutta farina del suo sacco, perché era già conosciuto dal popolo come proveniente dalla tradizione orale napoletana. Ovviamente questa ipotesi è tutta da dimostrare.

Comunque, è fuor di dubbio che quel ritornello fosse diventato un tormentone insopportabile per molti napoletani.

Infatti, dopo due anni, la virulenza del refrain non era scemata, tanto che scesero in campo anche i rimatori per esprimere in versi la loro disperazione.

L’esasperazione del barone Michele Zezza 

Il più famoso di tutti, il barone Michele Zezza, così esternò il suo disappunto:

Da cinche mise, cànchero,
matina, juorno e ssera,
fanno sta tiritera,
tutte li maramè
Che siente addò te vuote?
Che siente addò tu vaje?
«Te voglio bene assaje
e tu nun pienze a mme!»

Da cinque mesi, cavolo!,
mattina, giorno e sera,
fanno questa tiritera
tutti i ragazzini.
Cosa senti quando ti giri?
Cosa senti dovunque vai?
«Te voglio bene assaje
E tu nun penze e mme!»

Persino Guglielmo Cottrau è allo stremo

E persino Guglielmo Cottrau, che pure ne aveva curato la trascrizione e la pubblicazione:

Addio mia bella Napoli:
me ’n vo colmo di duolo;
m’aspetta là nel molo
il Pharamond fransè.
Andrò nell’Arcipelago,
oppure al Paraguai,
che m’ha seccato assaje
quel tu non pienz’a me!

Una madre e due padri per Te voglio bene assaje

Comunque, forzando la famosa locuzione latina Mater semper certa est, pater nunquam (La madre è sempre certa, il padre mai), la nostra “mater” è Raffaele Sacco. di professione ottico con il pallino della poesia.

Nessuno lo ha mai messo in discussione come autore del testo. Sulla musica invece, come spesso accadeva all’epoca, i presumibili padri erano due.

Uno più modesto, generalmente il vero padre. L’altro, una celebrità a cui, anche forzando la realtà, si cercava di attribuire quella creatura “troppo bella”.

Nel nostro caso, esistono ben poche possibilità che l’autore non sia il maestro Federico Campanella, amico di Sacco.

Tuttavia, qualcuno dovette ritenere (e ritiene ancora) che un successo di questa portata non poteva essere opera di un compositore qualunque. Doveva essere per forza la composizione di un genio della musica.

Gaetano Donizetti presunto padre nobile

Il primo a instillare il dubbio fu proprio Raffaele Sacco, che circondato da ospiti raffinati, in un salotto napoletano, sull’onda dell’entusiasmo per il successo che riscuoteva, “confessò” che l’autore della musica era Gaetano Donizetti.

Certo sarebbe stato più credibile se il grande compositore bergamasco non fosse partito da Napoli l’anno precedente.

Infatti, la canzone è del 1839, mentre Donizetti aveva lasciato Napoli e l’incarico al Teatro San Carlo nel 1838, creando un problema anche a Salvatore Di Giacomo e a quanti non si davano pace per attribuirgli quella paternità.

Salvatore Di Giacomo, immenso poeta ma discutibile nelle sue ricerche storico musicali, non potendo spostare il periodo di permanenza del Maestro a Napoli, spostò la data di nascita della canzone e la portò al 1835.

Maestro ma Te voglio bene assaje l’ha scritta lei?

Tuttavia, c’era una persona che avrebbe potuto porre fine a tutte queste illazioni perché era ancora vivo e in piena salute, Donizetti stesso.

Ma quando gli fu posta esplicitamente la domanda egli tacque. Quindi sarebbe una conferma perché chi tace acconsente?

No! Perché chi tace non dice niente. Per cui il mistero, o presunto tale resta. Presunzione del resto molto relativa, perché non risulta che il maestro avesse il dono dell’ubiquità.

Un amore rifiutato riduce l’innamorato in cenere

La canzone esprime il disappunto di un innamorato respinto in malo modo dalla sua amata. Non riesce a darsi pace per il comportamento ostile della ragazza e le chiede almeno una spiegazione: cosa le ha fatto di tanto riprovevole?

Eppure lui le vuole tanto bene, anche se sa che lei nemmeno lo pensa. Anche se lo accusa di non essere sincero. Proprio lei che nel mentire è una maestra? E con tutta la rabbia maledice il momento in cui l’ha conosciuta e si è innamorato.

Infatti, da quel momento la sua vita è diventata un incubo. Non dorme più pensando a lei che certamente non sta facendo altrettanto. Si autocommisera per lo stato in cui è ridotto nell’aspetto e nella salute.

E la invita a guardarlo in quelle condizioni ma ben sapendo che non sarà sufficiente a commuoverla. Questo succederà solo quando di lui saranno rimaste solo le ceneri. E lei recandosi sulla sua tomba si chiederà in lacrime: «dove sta il mio ragazzo?».

Fonte : Napolinpillole , art. Enzo Abramo


Le pagine di “La canzone napoletana”

[catlist name=la-canzone-napoletana numberposts=1000]