di Felice Nicotera


SALVATOR ROSA SOGGIORNO’ A FAIANO (1615 – 1673)

“Di Partenope in seno hebbi la cuna: ma la sirena che m’accolse in grembo non poté adomentar la mia fortuna”.

Il visitatore che viene a Faiano per godere l’aria salubre e gustare le prelibatezze gastronomiche di decantati ristoranti, difficilmente presterà attenzione ad un rudere abbandonato, ricoperto di erbacce e rovi, dove una piccola targa recita: “Città di Pontecagnano Faiano prov. di Salerno) Masseria I Paolini – (sec. VII) rudere – vi soggiornò Salvator Rosa (1615 -1673) Località Paolini”. Eppure un genio assoluto come Salvator Rosa, meriterebbe maggiore attenzione e visibilità. Nacque a Napoli nel 1615, e quest’anno, nel quarto centenario della sua nascita, non si prevedono mostre celebrative di nessun tipo. E’il cruccio anche di Emanuele Trevi, che in un lungo articolo su Sette dedicato al pittore napoletano, prendendo le mosse da una corposa monografia dal titolo Salvatore Rosa (1615-1673) «pittore famoso», firmata da Caterina Volpi (Ugo Bozzi editore), in cui ben 50 dipinti si aggiungono adesso all’ultimo catalogo ragionato, che risaliva agli anni Settanta. «Salvatore – scrive Trevi – era un carattere straripante, capace di gettarsi a capofitto in ogni cosa che faceva imprimendovi il sigillo inconfondibile della sua energia vitale.

Molto più di Caravaggio e Bernini, è il Rosa che sembra incarnare alla perfezione, con tutta la genialità e l’intraprendenza necessarie, le mille sfaccettature dello spirito barocco». Trevi ricorda anche un aspetto poco noto del polimorfismo del Rosa. «Per testimonianza concorde dei contemporanei, fu un bravissimo attore comico, specializzato nella parte di Pascariello, un popolano dalla lingua svelta che faceva furore nella Commedia dell’Arte napoletana». A pagina 228 del libro c’è persino una immagine «così bella e sorprendente» del pittore in vesti di Pascariello, «con il grande cappuccio che incornicia il viso baffuto e gli stranissimi guanti di pelliccia, che potrebbe averla dipinta Velasquez in persona».

Al cinema si ricorda Un’avventura di Salvator Rosa del 1939 con Gino Cervi protagonista (il film era di Blasetti). «Ne venne fuori una specie di Zorro partenopeo, osserva Caterina Volpi». Pittore, attore e anche poeta, «il posto che si è conquistato con le Satire». non era dilettante in nulla, giacché, rimarca Trevi, il suo «il suo istinto fondamentale sembra essere stato quello di imparare alla perfezione le regole dell’arte che praticava che poi infondervi il sigillo inconfondibile della sua personalità». Pochi in Italia, dunque, si sono ricordati di questo anniversario, a parte il Museo Correale di Sorrento, che conserva la Marina con pescatori forse l’opera più precoce del grande artista, e, che ha pensato di ‘festeggiarlo’ con una mostra che studiasse e mettesse in luce il suo periodo giovanile. La mostra, curata da Viviana Farina, esperta di pittura e disegno napoletano del Sei e Settecento, partirà dal 7 novembre 2015 al 7 gennaio 2016 e si potranno ammirare tutte insieme una quindicina di opere ad olio provenienti da collezioni pubbliche e private fra le quali alcune che non sono mai state mostrate al pubblico. Allo stesso tempo sarà creata una innovativa sezione di disegni che racconterà lo stile grafico del giovane Rosa – grande disegnatore del barocco italiano – e che ci aiuterà a capire il suo rapporto con i maestri dello stesso periodo: Ribera, Falcone, i due fratelli Fracanzano, Domenico Gargiulo. Nato partenopeo attivo oltre che nella sua città, anche a Roma e Firenze, fu un personaggio eterodosso e ribelle, quasi un pre-romantico e dalla vita movimentata. La sua fama è legata soprattutto alla rappresentazione di paesaggi, caratterizzati da una natura aspra e selvaggia, alle scene di battaglia, contraddistinte da una cruda espressività, e alla predilezione per le tonalità scure e i contrasti luministici. Dipinse inoltre ritratti allegorici, soggetti mitici e biblici, dove l’intento moralizzante e filosofico è accentuato dalle atmosfere cupe e misteriose, e anche quadri legati a temi magici. L’apprezzamento da parte di Lanfranco lo spinse a trasferirsi a Roma dove visse per due anni dal 1634, stabilendo i primi contatti con la Scuola dei bamboccianti, che in seguito rinnegherà. Tornato a Napoli si dedicò all’esecuzione di paesaggi con scene che anticiparono per certi versi alcuni temi romantici come le pittoresche scene di eventi spesso turbolenti, che diede in vendita per somme irrisorie restando anche per lungo tempo nell’ombra sulla scena artistica cittadina che era dominata a quel tempo dal trio Ribera, Battistello Caracciolo, Belisario Corenzio. Fatto ritorno nuovamente a Roma nel 1638, fu ospite del cardinale Francesco Maria Brancaccio che, nominato vescovo di Viterbo lo condusse a dipingere nella città laziale l’Incredulità di Tommaso per l’altare della chiesa di San Tommaso, suo primo lavoro d’arte sacra; a Viterbo Rosa conobbe il poeta Abati che stimolò la sua attitudine poetica. Ebbe grande attitudine per la pittura ma fu un artista eclettico e versatile, e si espresse anche nella recitazione, nella poesia e come musicista. Durante la sua prima permanenza romana strinse rapporti con i pittori barocchi Pietro Testa e Claude Lorrain e fu protagonista di spettacoli satirici per le vie della città durante il periodo del carnevale; in questa occasione entra in polemica con Bernini. Nell’autunno 1639 tornò a stabilirsi a Firenze dove restò per 8 anni, promosse l’Accademia dei Percossi che riuniva poeti, letterati e pittori; in questo periodo spinse l’altro pittore-poeta Lorenzo Lippi a comporre il poema Il Malmantile Racquistato e Rosa conobbe anche Ugo e Giulio Maffei presso i quali visse per un periodo a Volterra. Compose le sue Satire: Musica, Poesia, Pittura e Guerra; nello stesso periodo fece il suo autoritratto, ora esposto agli Uffizi.Il vivace artista fu soprannominato “Salvator delle battaglie” per le numerose rappresentazioni pittoriche di grandiose e sceniche battaglie ma dipinse anche, durante il suo soggiorno fiorentino opere dal tono esoterico e magico come Streghe e incantesimi, (1646, National Gallery)) e dai temi allegorici e filosofici (La Fortuna, Paul Getty Museum).A Roma produsse alcuni dipinti che dimostrarono una sorta di evoluzione dei precedenti soggetti, principalmente paesaggistici, a nuovi soggetti improntati ad un gusto classico, come La morte di Socrate. Verso la metà del XVII secolo dipinse la tela con Lot e le figlie, conservata a La Spezia nel Museo civico Amedeo Lia.Durante gli ultimi anni romani dipinse due capolavori di soggetto mitologico-morale come Lo spirito di Samuele evocato davanti a Saul dalla strega di Endor, acquistato da Luigi XIV e oggi al Louvre. Morì a Roma il 15 marzo 1673, e fu sepolto in Santa Maria degli Angeli con un monumento eretto dal figlio Augusto.