a cura di Felice Nicotera


Antonio Mancini (1852-1930) è stato un pittore italiano. Nacque a Roma, entrò all’Istituto di Belle Arti di Napoli all’età di 12 anni; ancora adolescente realizzò opere compiute. Alla sua laurea nel 1873, Mancini, insieme a Francesco Paolo Michetti e Vincenzo Gemito, era in prima linea nel ‘verismo’ nell’arte napoletana. Condividendo uno studio con Gemito, dipinse ragazzi di strada, musicisti e i ballerini di Napoli, creando un’arte antiaccademica e popolare. Il suo mecenate, Albert, conte Cahen di Anversa lo incoraggiò a visitare Parigi nel 1875, dove incontrò Manet e Degas. Dopo una seconda visita nel 1877, alleggerì la sua tavolozza precedentemente cupa e il suo stile si allontanò dalla modellazione sensuale per diventare più decorativo.
Nel 1878 fa ritorno a Napoli, vittima di una malattia e con profonde crisi depressive che, nel 1879, ne consigliano il ricovero in una casa di cura fino al 1883, anno in cui decide di trasferirsi definitivamente a Roma, dove può contare anche su di un aiuto finanziario dagli artisti suoi amici.
A Roma conosce Aurelia che, oltre a posare per lui come modella, diviene anche sua compagna di vita.
Nel 1885 stipula un contratto con il mecenate olandese Mesdag, che provvede ad inviargli regolarmente del denaro in cambio di dipinti e disegni (circa 150 lavori) che il mercante tratterrà per sé (oggi sono nel museo a lui intitolato) e a vendere il resto.
Nel 1909 è stato ospite in Inghilterra del pittore statunitense John Singer Sargent.
Ha inoltre un contratto con il mercante Messinger (lavorerà per lui fino al 1911) e poi con il mecenate e collezionista Fernand du Chêne de Vère che lo ospita nella propria residenza di Villa Jacobini (Casal Romito) a Frascati, dove rimane per 11 anni, fino al 1918.
Espone a Venezia nel 1914 e nel 1920, anno in cui la XXII Biennale gli dedica una mostra personale.
Nel 1928 espone al Castello Sforzesco di Milano, nel 1929 viene accolto nell’Accademia d’Italia.
Nonostante i suoi due soggiorni a Parigi, Antonio Mancini rimase profondamente estraneo alle tendenze più attuali della pittura francese del tempo, preferendo un forte legame con il naturalismo ottocentesco italiano. La vita popolare, spesso segnata da accenni di tristezza, caratterizza le sue prime opere quali il Prevetariello, lo Scugnizzo (L’Aia, Mesdag Museum), Autoritratto (National Gallery di Londra). Le opere successive sono dedicate a ritratti di dame, autoritratti, a strane figure in fantasiosi travestimenti eseguite una maniera più agitata, con vivi guizzi di luce, posti sulla tela in grumi di colore violento e accese colate. Ulteriori sue ricerche (con l’inserimento di pezzi di vetro, stoffe e altri materiali sul quadro) confermano come egli sentisse la profonda crisi del naturalismo.
Alla Galleria dell’accademia di belle arti di Napoli si conservano queste opere di Antonio Manciniː Testa di bambina, 1867, olio su tela, 50×39 cm; Studio di testa di spalle, 1870, olio su cartone, 31×43,5 cm, saggio di scuola; Rosina, 1870, olio su tela, 30,5×39,5, cm; Profilo di donna in nero, 1871, 31,5×42,5 cm; Dama in rosso, 1926, olio su tela, 191×101, dono dell’autore; Vestire gli ignudi, 1871, carboncino, 105×158 cm, firmato e datato.
Parte di una sala della Galleria d’arte moderna Ricci Oddi di Piacenza è dedicata al nostro con opere come Il pastorello, Donna con il calamaio, Servetta, Ritratto del padre, Donna alla toletta, Donna dal ventaglio rosso e Moschettiere seduto.
Tra i nuclei più importanti e prestigiosi delle sue opere si segnala quello del Museo dell’Ottocento (Pescara), in Abruzzo, dove sono conservati ben diciassette dipinti, tra cui Verità, 1873, e Prevetariello in preghiera, 1873 circa.
Muore a Roma nel 1930 ed è sepolto presso la navata destra della Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio, sull’Aventino.
Ritratto di Signora – 1900 ca (Casa Museo Francesco Cristina).