a cura della Fondazione Umberto Veronesi
La terapia intensiva richiede pratiche dolorose come la puntura per l’esame del sangue. Ma se la madre intanto parla il bambino percepisce meno dolore
I bambini che nascono prima delle 37 settimane di gestazione vengono subito separati dai genitori per essere messi in incubatrici con terapia intensiva che richiede più interventi giornalieri medici e infermieristici. Interventi quasi sempre dolorosi per il piccolo prematuro, ma necessari per mantenerlo in vita. Si tratta, a seconda del grado di prematurità e alle condizioni del piccolo, di intubazione, di prelievo di campioni di sangue, di un cannello per alimentarlo e altre pratiche. Esistono sì alcuni analgesici per corpicini così delicati, ma si cerca di limitarne l’uso per gli strascichi che potrebbero lasciare, a breve o a lungo termine, sullo sviluppo neurologico. Così si è guardato al di fuori della farmacologia e si è scoperto che la voce della mamma ha un forte potere antidolorifico. Un effetto che è stato “misurato” confrontando le espressioni facciali di sofferenza e il livello dell’ossitocina, il cosiddetto ormone dell’attaccamento e, al contrario, dello stress. Lo studio è stato condotto dall’Università di Ginevra (Svizzera) in collaborazione con l’Ospedale Parini e l’Università della Valle d’Aosta, in Italia. Ed è stato pubblicato su Scientific Reports. Va subito specificato – come avvertono i ricercatori – che lo stesso effetto calmante potrebbe averlo anche la voce del padre: lo ha escluso dalla ricerca il fatto di non poter essere disponibile per un certo lasso di tempo causa gli impegni di lavoro.
Neonati prematuri e la cura delle carezze
A guidare l’indagine il professor Didier Grandjean di Ginevra mentre i 20 bimbi prematuri sono stati seguiti nell’Ospedale Parini in Italia. Qui alle madri è stato chiesto di essere presenti al momento del quotidiano prelievo di sangue dal tallone del figlioletto cominciando a parlargli prima e continuando dopo l’intervento. Si è provato anche facendo cantare la madre, ma il maggiore effetto calmante che ci si aspettava non c’è stato, forse perché, dovendo seguire la musica, il tono della voce assecondava meno del parlato il momento doloroso per il bimbo. Un primo test è stato fatto filmando le espressioni facciali del bimbo durante il prelievo del sangue e le immagini sono state mostrate diciamo “in cieco” e senza suono a un gruppo di persone. Il livello, di uno speciale codice, è passato da 4,5 quando la madre era assente a 3 se il bimbo sentiva la sua voce.
L’OSSITOCINA LEGA E LENISCE
Altro test, quello dell’ossitocina, fatto con campioni di saliva del bambino presi prima della puntura per il prelievo e dopo. Ed ecco il “salto” in su dell’ossitocina: da 0,8 picogrammi per millilitro a 1,4 quando la mamma parlava. Un maggiore “attaccamento” affettivo che placa il dolore. «Abbiamo dimostrato quanto sia importante tenere vicini i figli e i genitori, soprattutto nel delicato periodo della terapia intensiva – commenta la dottoressa Manuela Filippa, prima autrice dello studio. – Qui i papà e le mamme svolgono anche un ruolo protettivo e possono accrescere il loro coinvolgimento creando quei profondi legami che vengono dati per scontati quando i figli nascono al termine della gestazione».
Fonte : FondazioneVeronesi
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