di Antonio Esposito


Salvatore Di Giacomo – Francesco Paolo Tosti – 1886

Quelli che per noi sono versi immortali furono ritenuti dal loro autore inadatti a rappresentare la sua arte poetica. Infatti Salvatore Di Giacomo ebbe talmente poca considerazione dei versi di Marechiare da non averli mai voluti inserire in nessuna sua raccolta. 

Del resto non si tratta di un caso unico di ripudio della propria creatura artistica.

Salvatore Cardillo compositore della musica di Core ’ngrato, disprezzava talmente questa canzone da definirla in una lettera alla cugina Wanda, “quella mia porcheria”.

Il suo desiderio era di essere ricordato per la produzione di opere classiche e romanze nonostante la sua celebrità sia dovuta solo a quella sua “porcheriola”.

Il Gambrinus la culla di Marechiare

Il disamore di Salvatore Di Giacomo per Marechiare invece non nasce da un preconcetto così esasperato. Probabile che la annoveri semplicemente tra sue composizioni minori.

Forse perché non nasce da un’emozione reale ma da un’invenzione letteraria. Infatti si racconta che avrebbe scritto questi versi nel 1886 mentre sorbiva un caffè seduto ad un tavolino dello storico Gambrinus in piazza Trieste e Trento a Napoli.

Tuttavia l’anomalia non è questa. Scrivere di getto e nei luoghi più improbabili appartiene a tutti i creativi.

La vera particolarità è che contrariamente a quanto traspare dai versi il poeta non poteva essere rimasto incantato dal luogo perché quando li scrisse non era mai stato a Marechiaro.

Le parole sono frutto della sua fantasia. 

La verità dell’oste di Marechiaro

Solo dopo molti anni Salvatore Di Giacomo “approdò” per caso a Marechiaro e su questa visita nacquero numerosi aneddoti. Il più accreditato è naturalmente quello raccontato  dal poeta stesso nel 1894 sul Corriere di Napoli.

Dopo una gita in mare a bordo di un vaporetto dell’Acquario di Napoli, il poeta e i suoi amici decisero di fermarsi a pranzo in una trattoria che casualmente si trovava proprio a Marechiaro: Osteria “Fenestella”.

Il titolare evidentemente come faceva con tutti i clienti, raccontò  la storia che secondo la sua versione avrebbe ispirato l’autore dei versi di Marechiare.

Spiegò con dovizia di particolari e relativo commento la genesi della lirica. Secondo il suo racconto: il poeta venuto a pranzo nella sua osteria, rimasto colpito dalla famosa “fenestella”, dalla rosa e da… Carolina avrebbe deciso di mettere “tutto dint ’a na canzone”.

La ricostruzione dovette divertire non poco il poeta che per la prima volta metteva piede nel luogo di cui aveva composto i versi… otto anni prima.   

Rendiamo onore però anche a Paolo Tosti, autore della musica, che in un perfetto amalgama con le parole ha reso Marechiare e la fenestella famosi nel mondo.

Infatti quella melodia contribuisce a dare vita alle sensazioni dettate dalla poesia: vitalità, allegria, passione.

Scétate Carulì, ca ll’aria è doce

Marechiare è la serenata che uno spasimante canta alla sua bella restia ad affacciarsi alla sua finestra e corrispondere al suo amore.

Eppure si tratta di una serata incantevole a cui prende parte tutta la natura con la luna, il mare e i pesci.

È un luogo incantato dove ha un suo ruolo anche la finestrella con un garofano nel vaso poggiato sul davanzale, alla quale dovrebbe affacciarsi Carolina.

Invece la finestra continua a restare chiusa nonostante la passione dell’innamorato continui a bussare con insistenza.

Eppure l’aria è dolce e le stelle lucenti vorrebbero illuminare un amore felice. Invece qualcosa è successo perché l’amante non ricorda di avere aspettato mai così a lungo di vederla.

Disperato non può che invocare ancora una volta: «Scétate Carulì».

Fonte : Napolinpillole , art. Enzo Abramo