di Felice Nicotera


Da ragazzo ero profondamente affascinato dalle numerose torri, di varia mole e di varia fattura, disseminate lungo tutta la nostra costa salernitana. Quelle sentinelle mute che si scorgevano su alti poggi, sulla marina, sulla riva dei fiumi e negli abitati, suscitavano in me tanta curiosità facendomi fantasticare sulle storie passate, sugli sbarchi di pirati e saraceni e le conseguenti fughe sui monti delle popolazioni atterrite al grido “mamma li turchi”.

In alcuni canti popolari della tradizione marinara è rimasta traccia di quegli episodi, un vero e proprio stato di assedio nel quale vissero per secoli le nostre popolazioni costiere. Uno di questi, conosciuto in tutta Italia è il seguente: “All’armi, all’armi la campana sona li Turchi so arrivati alla marina!”. Anche in una celebre canzone classica napoletana del 1600 circa, il cui significato è controverso e misterioso, si ricorda il terrore delle genti mediterranee per le incursioni saracene e si narra la storia di una bellissima donna, Michelemmà, presa in ostaggio dai mori, ma tanto ostinata nel rifiutarsi, da far morire tutti gli amanti rapitori. Navigando lungo tutta la costa o percorrendola attraverso i suoi suggestivi tratti, la presenza delle torri, poste nei punti più in vista, sono una vera testimonianza storica. Il più antico istrumento che parla di alcune torri risale al 1235, sotto il regno di Federico II di Svevia. Ma colui che edificò un vero e proprio programma difensivo delle coste fu il viceré don Pedro Alvarez di Toledo, giunto a Napoli il 4 settembre 1532, il quale attraverso le ordinanze prescrisse alle Università più a rischio al pericolo corsaro, di provvedere direttamente alla fortificazione costiera degli abitanti e di realizzare vere e proprie torri. Il programma fu completato nel XVI secolo, dal viceré don Pedro Afan de Ribera, duca d’Alcalà, già viceré di Catalogna. Fu fatto un sistema difensivo ininterrotto di torri robuste, armate con artiglieria leggera, che rappresentarono un’invalicabile frontiera di fuoco, ma si mostrarono imprendibili anche all’occasionale attacco ravvicinato, così rappresentando una definitiva difesa della navigazione di cabotaggio. La loro costruzione seguiva criteri ben precisi, in quanto dovevano poter comunicare con quelle più vicine, attraverso segnali luminosi messi in atto dalle sentinelle dislocate nelle parti sommitali, al fine di segnalare possibili pericoli provenienti dal mare. La loro ubicazione, inoltre, veniva scelta in modo da avere la migliore visuale possibile anche verso l’entroterra, in modo che dalla fortificazione potessero essere lanciati tempestivamente gli eventuali segnali di allarme. Le torri, che poi il popolo chiamò “saracene” a significare che erano state costruite contro i Saraceni, servirono ancora per qualche tempo, per segnalare i movimenti di qualsiasi flotta nemica al largo delle coste italiane, ma all’inizio del XIX secolo erano ormai pressoché abbandonate; alcune divennero posti di Dogana, su altre venne installato il sistema telegrafico ad asta che sostituì i segnali di fuoco, e le rivitalizzò trasformandole in “torri semaforiche”; in dipendenza delle leggi 21 agosto 1862, n. 793, e 24 novembre 1864, n. 2006, mediante la Società Anonima per la vendita dei beni del Regno d’Italia, furono cedute, dietro pagamento, a privati cittadini. Scrive Vassalluzzo che alcune di esse, come quelle di Agropoli e di Licosa furono utilizzate anche durante la Repubblica Partenopea e dopo la Restaurazione del Regno. Le stesse servirono, in seguito, come nascondiglio di armi e di cospiratori cilentani negli infocati moti che seguirono ai capovolgimenti politici della prima metà del secolo XIX. Furono, come scrive il Moscati, anche luogo di appuntamento per il contrabbando, essendo esse poste fuori dell’abitato, in luogo per lo più deserto e sulla costa, ed anche come cordone sanitario contro la peste, che infierì violentemente nel Regno di Napoli nell’anno 1656. Altre, nell’ultima guerra mondiale, vennero adibite ad appostamento di soldati italiani e tedeschi. Fu in queste torri che l’inaspettato e tragico annunzio dell’armistizio dell’8 settembre 1943 colse gli uni e gli altri; armistizio che tramutò Italiani e Tedeschi da amici in nemici. Dall’ottimo libro su “Le torri costiere del Principato Citra” del prof. Lucio Santoro, pubblicato nel 2010, si evince che le torri, apparentemente simili, hanno diverse tipologie e caratteristiche, determinate dalle loro singole funzioni. “Dalle imponenti dimensioni delle torri di sbarramento a quelle di avvistamento, fino alle piccole guardiole, disseminate nei punti più inaccessibili.” Lo studio predetto evidenzia una schedatura di ben 111 torri, da Positano a Sapri, accompagnando le notizie storiche con dati metrici e strutturali, in maniera da cogliere con completezza le differenze di ogni singola torre. Negli ultimi tempi le torri hanno riscosso un sempre più vivo interesse tra gli addetti al settore e tra le popolazioni locali; sono state allestite mostre sul sistema difensivo costiero e promossi convegni sull’argomento. I musei italiani registrano continui boom e lo scorso mese di luglio c’è stato un incremento di presenze di oltre il 10%. Il turismo è il vero volano dell’economia italiana e il nostro paese ripartirà solo se saremo in grado di rilanciarlo alla grande. Il nostro territorio di Pontecagnano Faiano ha tutte le carte in regola per smettere i panni di quartiere dormitorio e del cemento, o di semplice via di passaggio per i centri commerciali. Sarebbe auspicabile, appunto per restare in tema, che le torri poste nelle nostre immediate vicinanze (ad es. Torre Angellara, appartenente al comune di Salerno) siano costituite in musei, dove è presente il Museo dello sbarco, così da creare un invidiabile polo museale; come pure l’antico convento di Faiano, una volta ristrutturato, potrebbe essere adibito a museo e costituire un incentivo per i turisti che vengono a godere le bellezze naturali vantate dalla nostra provincia, in cui Pontecagnano Faiano occupa una posizione geograficamente strategica. Ci sarebbe di sicuro un ritorno economico, una formazione finalizzata all’educazione delle coscienze, al culto del bello e alla salvaguardia del patrimonio storico e culturale del nostro territorio, da tramandare alle future generazioni.