a cura della Redazione di “Storia & Ricorrenze”
L’ultima settimana del Terzo Reich iniziò all’alba del 30 aprile, nel bunker situato circa 8 metri sotto il giardino della cancelleria a Berlino, ormai contornata dalle macerie. Adolf Hitler ebbe dal generale Wilhelm Keitel, l’ultimo capo dell’Oberkommando della Wehrmacht e successivamente uno dei principali imputati a Norimberga, la notizia che distrusse le sue ultimissime speranze di poter infrangere il sanguinoso l’assedio dell’Armata rossa. “Solo a questo punto il Fuehrer prese la decisione definitiva di mettere fine alla sua vita”, dice lo storico Volker Ullrich. Poche ore dopo, era morto, sparandosi, insieme a Eva Braun, sposata li’ nel bunker, alla mezzanotte di due giorni prima.

Una settimana dopo, la seconda guerra mondiale era finita, lasciandosi dietro distruzioni, sofferenze e massacri senza precedenti nella storia e un numero di vittime stimate tra i 55 e i 60 milioni, un conteggio dell’orrore che contiene anche l’abisso dell’Olocausto. Febbrili speranze, crolli nervosi ed esplosioni d’ira avevano caratterizzato le ultime settimane di vita del Fuehrer.
La morte di Roosevelt, il 12 aprile 1945, l’aveva indotto a pensare che la coalizione degli Alleati potesse andare a pezzi, per cui insistette a ordinare ai soldati sempre più disperati di continuare a combattere incondizionatamente, pur versando la Wehrmacht in condizioni catastrofiche. Il 20 aprile Hitler dette addirittura il benvenuto ad alcuni ospiti per il suo compleanno, ma già due giorni dopo ebbe un nuovo esaurimento, quando seppe che l’Obergruppenfuehrer delle Ss Felix Steiner si era rifiutato di compiere l’attacco da lui ordinato per “salvare” Berlino, con l’argomento che era “semplicemente impossibile”.
Hitler urlò che tutto era perduto, che anche le Ss l’avevano tradito e licenziò parte del suo stato maggiore. Aveva fatto in tempo a dettare alla sua segretaria Traudl Junge il suo breve “testamento politico”, nel quale annunciava il suicidio e nominava l’ammiraglio Karl Doenitz come nuovo presidente del Reich e comandante in capo della Wehrmacht, Goebbels come nuovo cancelliere del Reich, mentre Goering e Himmler – marchiati ome “infedeli” – furono cacciati dall’Nsdap, il partito nazista. Il testo conteneva anche un appello ai tedeschi affinché continuassero la guerra nonché alla prosecuzione dello sterminio ebraico, qui definita “resistenza impietoso”. Aveva deciso di suicidarsi per non cadere vivo nelle mani dei soldati sovietici.
Grazie alle testimonianze storiche, le ultime ore del Fuehrer sono ben documentate. Nel pomeriggio del 30 aprile distribui’ ampolline di veleno al suo personale: per verificare l’efficacia del veleno lo fece prima somministrare al suo pastore tedesco, decidendo però di non presenziare all’uccisione. Intorno alle 15.30 fu compiuto l’atto finale: Eva Braun ingeri’ il cianuro, Hitler si sparò. Furono il suo aiutante Otto Guensche ed il suo cameriere Heinz Linge i primi ad entrare negli appartamenti privati del “Fuehrerbunker”, insieme al capo del partito, Martin Bormann. Il racconto di Guensche è il più dettagliato.

“Hitler era seduto su una poltrona. La testa pendeva sulla spalla destra, la mano penzolava in basso. Al lato destro c’era il foro del proiettile”. Eppure per molto tempo i dubbi sulla fine del Fuehrer sono state dure a morire. Ancora alla conferenza di Potsdam, nel luglio del ’45, Stalin continuava a dire di “non sapere” dove Hitler si trovasse, magari “in Spagna o in Argentina”.
La ricostruzione secondo la quale il suo cadavere e quello di Eva Braun erano stati date alle fiamme veniva continuamente messe in discussione dai funzionari sovietici, tanto che i servizi segreti alleati successivamente disposero ulteriori inchieste. In realtà, stando alle testimonianze raccolte da britannici e americani, furono Bormann e altri membri del seguito di Hitler a bruciare, come loro comandato, i cadaveri nel giardino della Reichskanzlei.
L’ultima settimana del Terzo Reich iniziò all’alba del 30 aprile, nel bunker situato circa 8 metri sotto il giardino della cancelleria a Berlino, ormai contornata dalle macerie. Adolf Hitler ebbe dal generale Wilhelm Keitel, l’ultimo capo dell’Oberkommando della Wehrmacht e successivamente uno dei principali imputati a Norimberga, la notizia che distrusse le sue ultimissime speranze di poter infrangere il sanguinoso l’assedio dell’Armata rossa. “Solo a questo punto il Fuehrer prese la decisione definitiva di mettere fine alla sua vita”, dice lo storico Volker Ullrich. Poche ore dopo, era morto, sparandosi, insieme a Eva Braun, sposata li’ nel bunker, alla mezzanotte di due giorni prima.
Una settimana dopo, la seconda guerra mondiale era finita, lasciandosi dietro distruzioni, sofferenze e massacri senza precedenti nella storia e un numero di vittime stimate tra i 55 e i 60 milioni, un conteggio dell’orrore che contiene anche l’abisso dell’Olocausto. Febbrili speranze, crolli nervosi ed esplosioni d’ira avevano caratterizzato le ultime settimane di vita del Fuehrer.
La morte di Roosevelt, il 12 aprile 1945, l’aveva indotto a pensare che la coalizione degli Alleati potesse andare a pezzi, per cui insistette a ordinare ai soldati sempre più disperati di continuare a combattere incondizionatamente, pur versando la Wehrmacht in condizioni catastrofiche. Il 20 aprile Hitler dette addirittura il benvenuto ad alcuni ospiti per il suo compleanno, ma già due giorni dopo ebbe un nuovo esaurimento, quando seppe che l’Obergruppenfuehrer delle Ss Felix Steiner si era rifiutato di compiere l’attacco da lui ordinato per “salvare” Berlino, con l’argomento che era “semplicemente impossibile”.
Hitler urlò che tutto era perduto, che anche le Ss l’avevano tradito e licenziò parte del suo stato maggiore. Aveva fatto in tempo a dettare alla sua segretaria Traudl Junge il suo breve “testamento politico”, nel quale annunciava il suicidio e nominava l’ammiraglio Karl Doenitz come nuovo presidente del Reich e comandante in capo della Wehrmacht, Goebbels come nuovo cancelliere del Reich, mentre Goering e Himmler – marchiati ome “infedeli” – furono cacciati dall’Nsdap, il partito nazista. Il testo conteneva anche un appello ai tedeschi affinché continuassero la guerra nonché alla prosecuzione dello sterminio ebraico, qui definita “resistenza impietoso”. Aveva deciso di suicidarsi per non cadere vivo nelle mani dei soldati sovietici.
Grazie alle testimonianze storiche, le ultime ore del Fuehrer sono ben documentate. Nel pomeriggio del 30 aprile distribui’ ampolline di veleno al suo personale: per verificare l’efficacia del veleno lo fece prima somministrare al suo pastore tedesco, decidendo però di non presenziare all’uccisione. Intorno alle 15.30 fu compiuto l’atto finale: Eva Braun ingeri’ il cianuro, Hitler si sparò. Furono il suo aiutante Otto Guensche ed il suo cameriere Heinz Linge i primi ad entrare negli appartamenti privati del “Fuehrerbunker”, insieme al capo del partito, Martin Bormann. Il racconto di Guensche è il più dettagliato.
“Hitler era seduto su una poltrona. La testa pendeva sulla spalla destra, la mano penzolava in basso. Al lato destro c’era il foro del proiettile”. Eppure per molto tempo i dubbi sulla fine del Fuehrer sono state dure a morire. Ancora alla conferenza di Potsdam, nel luglio del ’45, Stalin continuava a dire di “non sapere” dove Hitler si trovasse, magari “in Spagna o in Argentina”.
La ricostruzione secondo la quale il suo cadavere e quello di Eva Braun erano stati date alle fiamme veniva continuamente messe in discussione dai funzionari sovietici, tanto che i servizi segreti alleati successivamente disposero ulteriori inchieste. In realtà, stando alle testimonianze raccolte da britannici e americani, furono Bormann e altri membri del seguito di Hitler a bruciare, come loro comandato, i cadaveri nel giardino della Reichskanzlei.
I resti furono sepolti dentro il cratere di una bomba nei pressi (ma poi, secondo ulteriori documenti, spostati varie volte). Il 10 maggiore l’assistente del dentista personale del Fuehrer, Fritz Echtmann, identificò la dentatura di Hitler e di Eva Braun, ma i sovietici decisero di classificare le informazioni come segrete, il che ebbe l’effetto di propagare per anni le teorie cospirazioniste sulla morte del capo del nazismo. Tanto che solo nel 1956 un tribunale dichiarò ufficialmente la morte di Hitler.
Fonte : “Agi Web”
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