a cura della Redazione “Storia & Ricorrenze”


Il 15 Marzo del 44 a.C. venne assassinato Caio Giulio Cesare. La congiura contro Cesare era composta da un’ottantina di senatori ed era guidata da Cassio e Marco Giunio Bruto, figlioccio del dittatore perpetuo. I cosiddetti Cesaricidi erano un gruppo eterogeneo di persone: fedelissimi pompeiani graziati al termine della guerra civile, repubblicani, idealisti, ma soprattutto approfittatori e delusi.

Molti degli infami che attaccarono in massa il più grande eroe di Roma, erano infatti politici che si erano arricchiti grazie ai doni e alla magnificenza di Cesare. C’era chi a Giulio doveva l’ascesa politica e militare, chi aveva contratto debiti con il dittatore e chi invece sperava di migliorare la propria posizione in un nuovo governo aristocratico.

Si racconta che Cesare fu avvisato da diversi portenti della pericolosità delle idi di Marzo. Segni del cielo e presagi che il nobile dittatore non avrebbe ascoltato, sottostimando il malcontento di alcuni senatori e di molti suoi adulatori. Molti dei Cesaricidi credevano che attraverso il loro gesto avrebbero restaurato le glorie della vecchia e corrotta repubblica. Ma la Repubblica romana era morta ormai molto tempo addietro, assassinata dalla cupidigia delle classi colte ed aristocratiche, sottomessa dal volere di un ristretto gruppo di ricchi e facoltosi senatori e latifondisti. Non poteva esserci una Repubblica, non quando Roma possedeva un Impero. Il primo, vero e grande impero capace di abbracciare tutto il Mediterraneo nei suoi confini.

Fra coloro che raccontano gli eventi della giornata, Svetonio ne Le vite dei Cesari riesce a dipingere un quadro molto esaustivo e commovente dell’assassinio:

«[…] i congiurati lo circondarono con il pretesto di rendergli onore e subito Cimbro Tillio, che si era assunto l’incarico di dare il segnale, gli si fece più vicino, come per chiedergli un favore. Cesare però si rifiutò di ascoltarlo e con un gesto gli fece capire di rimandare la cosa a un altro momento; allora Tillio gli afferrò la toga alle spalle e mentre Cesare gridava: “Ma questa è violenza bell’e buona!” uno dei due Casca lo ferì, colpendolo poco sotto la gola.

Cesare, afferrato il braccio di Casca, lo colpì con lo stilo, poi tentò di buttarsi in avanti, ma fu fermato da un’altra ferita. Quando si accorse che lo aggredivano da tutte le parti con i pugnali nelle mani, si avvolse la toga attorno al capo e con la sinistra ne fece scivolare l’orlo fino alle ginocchia, per morire più decorosamente, con anche la parte inferiore del corpo coperta. Così fu trafitto da ventitré pugnalate, con un solo gemito, emesso sussurrando dopo il primo colpo; secondo alcuni avrebbe gridato a Marco Bruto, che si precipitava contro di lui: “Anche tu, figlio?”. Rimase lì per un po’ di tempo, privo di vita, mentre tutti fuggivano, finché, caricato su una lettiga, con il braccio che pendeva fuori, fu portato a casa da tre schiavi”.

Il terribile misfatto era stato compiuto. Uno dei più grandi eroi della storia di Roma, del Mediterraneo, d’Europa e del mondo intero era stato vigliaccamente ucciso. Quelli che pensavano di ristabilire il governo democratico della città andarono incontro ad una grande delusione. Infatti il popolo pianse Cesare come mai nessuno prima e poco ci mancava che le plebi infuriate scannassero i Cesaricidi. La più gravi conseguenze della morte del divo Giulio furono due. In primis non venne realizzata la campagna contro l’impero dei Parti che Cesare stava organizzando. Fare la storia con i “SE” è impossibile, ma non dubitiamo del fatto che Cesare sarebbe stato capace di vincere, se non almeno ammansire, il pericoloso e  nemico orientale. La seconda conseguenza fu che si aprì una stagione di guerre civili ancora più sanguinose e violente della precedente, la quale si sarebbe conclusa con l’ascesa del giovane Cesare Ottaviano, nipote di Cesare e futuro fondatore del Principato.

Fonte : oltrelalinea


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