a cura della Redazione “Scuola e studenti” e “Focus Junior”


Fin dall’antichità gli scienziati sentivano l’esigenza di ingrandire gli oggetti. Nel corso dei secoli sono stati utilizzati vari oggetti, dal quarzo all’acqua, ma si deve aspettare la fine del XVI secolo per arrivare all’invenzione del primo microscopio. Una invenzione fondamentale per lo sviluppo della scienza, perché questo strumento permetteva di ingrandire oggetti di piccole dimensioni per osservarli. Il primo microscopio è stato realizzato in Olanda, in una bottega di fabbricanti di lenti, nel 1590, riprendendo il modello del telescopio. I primi microscopi erano formati da più lenti sovrapposte tra le quali si inseriva l’acqua.

La storia dello strumento che ci ha offerto le chiavi del mondo invisibile dei microrganismi e dell’infinitamente piccolo, non ha una data di inizio ben precisa, ma ha origine secoli fa con l’avvento dei primi microscopi. Uno strumento che, come scrive Alessandro Becchi, docente di Filosofia e Scienze Umane nella scuola pubblica, nel suo libro “Arlecchino e il microscopio. Saggio sulla filosofia naturale di Leibniz” edito da Mimesis edizioni, “ha assunto un valore che va ben oltre la mera empiria, per configurarsi come un potenziamento della stessa ragione: le lenti di vetro, come osservava lo stesso Cartesio, non sono che un ausilio e una imitazione di quelle ‘lenti naturali’ tagliate da Dio stesso per i nostri occhi, i quali rappresentano il primo gradino di ogni teorizzazione”.

Gli ottici olandesi

Come racconta Michele Riva, professore di Storia della medicina presso la Scuola di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Milano-Bicocca, chi sia il reale inventore del microscopio non è noto, come spesso accade. Si sa che l’oggetto nacque intorno al 1600 come strumento complementare al telescopio, scoperte che vengono entrambe attribuite a due ottici olandesi, padre e figlio, di nome Hans and Zacharias Janssen.

“Ma non ci sono prove – commenta Riva – e non si sa se siano i reali inventori dello strumento. Dietro c’è anche tanta mitologia e leggenda”. La prima data certa nella storia del microscopio è il 1614, come spiega ancora lo storico, quando per la prima volta questo nome compare in un resoconto dell’Accademia dei Lincei per mano di Giovanni Demisiani, un studioso greco che viveva a Roma e introduce il termine da μικρόν, mikrón “piccolo” e σκοπεῖν, skopéin “guardare” per definire lo strumento.

La cellula di Hooke

Nonostante i primi microscopi fossero piccoli, con capacità di ingrandimento simili alle attuali lenti impiegate per leggere caratteri di stampa o francobolli, e permettessero di vedere molti dettagli, furono usati subito dai naturalisti per studiare il regno vegetale e animale e dai medici per studiare i tessuti corporei.
Con una vivacità e un interesse molto più marcato nel primo filone di studi rispetto al secondo. Tanto che se proprio si volesse assegnare una data all’inizio della rivoluzione apportata dal microscopio questa probabilmente coinciderebbe con il 1665, anno in cui lo scienziato Robert Hooke per primo usa il nuovo strumento per analizzare la microstruttura della pianta, fino a individuare una piccola organizzazione ripetuta che chiama “piccola cella” o “cellula biologica”.

“Ma ci vorranno altri due secoli prima di capire che anche gli esseri umani e i mammiferi sono fatti di cellule” precisa Riva. Nel gennaio del 1666 Hooke pubblica il libro “Micrographia”, che contiene disegni e descrizioni fisiologiche di corpi minuti realizzati grazie all’uso delle lenti di ingrandimento. È il primo libro a illustrare insetti, piante, oggetti ecc. visti attraverso microscopi ed è la prima grande pubblicazione della Royal Society, che ispirerà un vasto interesse del pubblico per la nuova scienza della microscopia. Proprio questo documento secondo Becchi può rappresentare uno spartiacque nella scoperta dell’infinitamente piccolo, che avviene comunque con molta lentezza.

Microscopia e telescopia

“La microscopia fu complementare alla telescopia – scrive l’autore nel suo libro – ma mentre sul telescopio, l’infinitamente grande e la teoria di Galileo furono scritti fiumi di inchiostro, la rivoluzione analoga e speculare sull’infinitamente piccolo si instaurò solo mezzo secolo dopo”. Il microscopio infatti con un lungo processo avrebbe portato nel Settecento allo sviluppo di nuove scienze, come l’istologia e la microbiologia “che alla fine del Seicento, mancavano ancora completamente di un lessico specifico e di strumenti concettuali in grado di organizzare i dati empirici forniti dal nuovo strumento osservativo” riporta ancora Becchi.

Gli animalcula…

Un ruolo chiave nello sviluppo della microscopia lo ebbe anche e soprattutto Antoni Van Leeuwenhoek un commerciante e naturalista olandese, che utilizzò il microscopio per analizzare l’ordito dei tessuti che vendeva ma anche per studiare la natura. Fu uno dei maggiori fautori e utilizzatore del microscopio e sviluppò strumenti propri che avevano un ingrandimento fino a 300X, un enorme salto di potenza rispetto alla maggior parte dei dispositivi precedenti, i migliori dei quali permettevano un ingrandimento di dimensioni di 20-30X. Come conferma anche Alessandro Porro professore di Storia della medicina presso l’Università degli studi di Milano: “nel ‘600-700 si sviluppano anche microscopi ottici (che sfruttano quindi la luce), complessi come li conosciamo oggi, con regolazioni macro e micrometriche a vite, condensatore di luce, specchietto riflettente ecc. Insomma ci fu un’evoluzione tecnica dello strumento”.

Il dispositivo sviluppato da Leeuwenhoek gli permise di osservare e descrivere minutamente diverse classi di protozoi (ciliati, rotiferi, amebe, ecc.), i batteri, gli spermatozoi, i capillari, i vasi linfatici, i globuli rossi e molto altro ancora. “Osservando e analizzando l’acqua delle pozzanghere Leeuwenhoek riuscì a vedere piccoli animali che lui chiamò animalcula – racconta Riva – parassiti grossi, come i protozoi, che riconobbe ma non fu in grado di associare alle malattie. Capì però che esistevano questi piccoli animali che non erano visibili a occhio nudo”.

…E Leibniz

Nel 1677 Leeuwenhoek pubblica le sue osservazioni sui protozoi rinvenuti nell’acqua piovana e Gottfried W. Leibniz fa propria questa scoperta per confermare la sua teoria secondo cui esistono “infinite creature” nella più piccola parte di materia. “Leibniz è un critico dei cartesiani – precisa Becchi – per i quali la materia è qualcosa di esteso e inerte, inorganico mentre queste scoperte dell’infinitamente piccolo mostrano che c’è vita ovunque. Anche nelle ceneri. Leibniz usa le scoperte della microscopia per confermare la sua teoria per cui la creazione sarebbe un pullulare di vita sin nelle sue parti più piccole e per cui nell’universo non c’è niente di morto. È una forma di vitalismo che si inserisce anche in un discorso teologico per cui Dio non avrebbe lasciato niente di disorganizzato, ma avrebbe organizzato la materia sin nelle sue parti più piccole”.

Un microscopio da Nobel

Il XX secolo fu senza dubbio un momento di svolta nell’evoluzione dello strumento, perché negli anni ’30 vide la luce il microscopio elettronico, commercializzato poi nel 1939 come ricorda Porro. “A differenza del dispositivo ottico che sfrutta un fascio di luce, quello elettronico usa un fascio di elettroni che colpisce l’oggetto da osservare” spiega lo storico. “Il passaggio viene registrato e l’immagine ricostruita in base ad esso”.

L’avanzamento tecnologico permise di vedere sempre più in piccolo e si scoprì che a popolare il mondo invisibile dei microrganismi non erano solo i batteri, ma anche altri agenti di dimensioni ancora più ridotte, come i virus, non osservabili con il microscopio ottico. Il microscopio elettronico negli anni subì ancora e ulteriori avanzamenti e una tecnica in particolare è stata così rivoluzionaria da essere insignita del Premio Nobel per la Chimica nel 2017. Si tratta della microscopia elettronica criogenica a trasmissione (Cryo-Tem) che sfrutta la combinazione di una tecnica di preparazione dei tessuti con un microscopio elettronico molto potente e un software capace di leggere le immagini.

La scoperta di Jacques Dubochet, Joachim Frank e Richard Henderson, ha permesso di arrivare a vedere ogni singola struttura con una risoluzione di pochi miliardesimi di metro e di scandagliare atomo per atomo la materia per restituire agli scienziati la struttura tridimensionale di macromolecole biologiche come il Dna, l’Rna o le proteine. Ma soprattutto ha reso possibile osservare anche strutture fragili, che difficilmente avrebbero resistito all’impatto con gli elettroni. Nel 2017 fu proprio grazie al Cryo-Tem che gli scienziati ricostruirono per intero la struttura tridimensionale del virus Zika.

Fonte : “Studenti.it” , “Aboutpharma”