a cura della Redazione “Fotografiaartistica” e di Giuseppe Santagata


“Non so cosa sia importante per le persone che guardano le mie foto. Quello che è importante per me, è il fatto di farle. Io non lavoro per provare il mio talento. Io fotografo quasi tutti i giorni, tranne quando fa troppo freddo per viaggiare a modo mio.… Quando vivi in un luogo a lungo, diventi cieco perché non osservi più nulla. Io viaggio per non diventare cieco”.


Josef Koudelka è considerato uno dei grandi maestri della fotografia. Fedele al suo bianco e nero, il fotografo ceco ha catturato la fragilità dello spirito umano sullo sfondo di paesaggi malinconici. Desolazione, abbandono, partenza, disperazione e alienazione, sono temi costanti nel suo lavoro. La vita intera di Koudelka è permeata dal solo bisogno di fotografare. Le vendite dei suoi libri l’hanno aiutato a viaggiare, a comprare nuove scarpe da consumare nella sua ricerca di scatti, a mantenere tre figli concepiti in tre diverse parti d’Europa (Francia, Inghilterra e Italia).


Un personaggio “anarchico” che non scende a compromessi, che non accetta lavori su commissione da parte di giornali per rimanere libero nelle sue scelte, che non vende le sue foto, alle quali si sente visceralmente legato e che vive solo delle mostre che realizza e dei libri che vende. Un personaggio unico, avvolto nella leggenda: si dice che dorma per terra anche negli alberghi, dopo aver vissuto parecchio tempo con gli zingari, e che abbia attaccato degli stuzzicadenti per la messa a fuoco della sua Leica.


Nato il 10 gennaio del 1938 a Boskovice, Josef Koudelka, inizia a fotografare giovanissimo. A soli 12 anni raccoglie le fragole dai campi e le vende ai paesi vicini per raggranellare i soldi necessari all’acquisto della sua prima macchina fotografica: una bakelite 6×6. La passione della fotografia inizialmente rimane tale, perché decide di diventare un ingegnere aeronautico. All’università conosce il fotografo e critico Jiri Jenícek che nel 1961 lo incoraggia a mostrare il suo lavoro presso il Teatro Semafor di Praga.


Laureatosi all’Università di Praga nel 1961, lavora come ingegnere aeronautico per 6 anni, prima di decidere di dedicarsi completamente alla fotografia. Dal 62 inizia la sua serie sugli zingari, “Gypsies”, di cui verrà pubblicato un libro nel 1975, vincitore del prestigioso Premio Nadar. Il libro è un’importante documentazione sulla vita della società nomade, attraverso gli scatti delle comunità gitane di Boemia, Moravia, Slovacchia, Romania, Ungheria, Francia e Spagna.


La svolta internazionale nella carriera di Josef Koudelka avviene con le foto della primavera di Praga, in cui il fotografo ceco ritrae le forze militari del Patto di Varsavia al momento della loro entrata nella capitale dell’ex Cecoslovacchia. Quei negativi arrivano in maniera clandestina all’agenzia Magnum (di cui Koudelka farà parte dal 1971) e le immagini vengono pubblicate sul Sunday Times in forma anonima, firmate solo con la sigla P.P. (photographer of Prague) per paura di possibili ripercussioni contro Koudelka e la sua famiglia.


Grazie all’interessamento della agenzia Magnum, Koudelka viaggia in Inghilterra, dove fa richiesta di asilo politico. Nel 1984 la Hayward Gallery di Londra mostra per la prima volta, dopo 16 anni di anonimato, le foto dell’invasione di Praga con il suo nome.


Nel 1987 la Francia, dove Koudelka risiede ormai da tre anni, gli concede la cittadinanza francese e gli viene conferito il Grand Prix National de la Photographie. Nel 1988 viene pubblicato il libro “Exiles”, vincitore dell’ICP Award per il miglior libro fotografico nel 1989, che rappresenta una profonda riflessione sullo stato fisico e spirituale di esule.

Dal 1986 Josef Koudelka inizia a fotografare con una fotocamera panoramica. Lo sguardo del fotografo ceco abbandona la rappresentazione umana e si concentra sulle composizioni decadenti, sui luoghi senza vita e sugli scorci rovinati dalle architetture abbandonate dall’uomo. Le immagini di questa serie sono riunite nel libro “Chaos” del 1999.