di Felice Nicotera


E’ di questi giorni il video in cui il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca definisce Halloween come «un’immensa idiozia» e «una stupida americanata».

Ma la risposta napoletana non è tardata a venire. “In fondo abbiamo solo trasformato, quello che già era nella nostra tradizione”: sostiene su Facebook Rossana Partenope Di Poce, affermando che “la questua delle cascettelle dei morti, a Napoli esisteva già prima dell'”Americanata”. L'”obolo dell’infanzia” alla morte, come lo chiama la Serao nel 1904, è sempre esistito a Napoli:

“Domani mattina, a Dio piacendo, saremo svegliati da un’orchestrina originale di strumenti non molto melodiosi, ma per compenso sufficientemente assordanti. Centomila scatolette di cartone, debitamente segnate col teschio tradizionale e le immancabili ossa incrociate, faranno risuonare per tutte le vie di Napoli, per tutti i vicoli, per tutti i cortili, per i pianerottoli delle nostre scale, i soldini che vi sono piovuti dentro, attraverso la sottile fenditura (…)

E’ nel nome dei morti, che l’infanzia chiede la sua mancia, domani: è con questa invocazione pietosa che essa vi domanda il piccolo obolo. E gli occhietti vi interrogano ansiosi, e spiano le vostre mosse; e lampeggiano felici quando la vostra mano si tende, e l’obolo è dato: “Signurì, ‘e muorte!”. Oh, date pure un soldino a questi bimbi che ve lo chiedono gaiamente, agitando la cascettella crocesegnata, e si sparpagliano con un grido di gioia, quando sono contentati…”.”

(Mimmo Jodice. L’obolo nella nostra cascettella.)

La festa di Halloween nasce da un rito pagano di tradizione celtica: secondo la leggenda, la notte del 31 ottobre le anime dei morti tornano sulla terra per cercare di entrare nei corpi dei vivi. Il nome Halloween deriva dal fatto che la festa si celebra la vigilia (“Eve”) di Ognissanti (“All Hallows”). Si usa mascherarsi da spiriti per ingannare le anime dei morti che ritornano e i dolci servono a ingraziarseli.

Ma “la notte delle streghe” napoletana si fonda soprattutto sulla cultura del luogo, sui suoi segreti e misteri, sulle proprie leggende, sulle superstizioni e le credenze popolari tutte partenopee.

Il culto dei morti, le terresante sono la testimonianza dell’antichissima tradizione funebre diffusa a Napoli. Ci sono poi leggende, legate ai palazzi, ai vicoli e addirittura ai sotterranei, come la leggenda del Munaciello, uno spiritello molesto e malandrino che, a seconda di antipatia o simpatia, provocava sgarbi o favori ai poveri malcapitati. E che dire dei palazzi dove ancora oggi c’è chi giura di essere stato testimone, almeno una volta, di eventi e presenze soprannaturali. Specialmente di spiriti di amanti sfortunati che si divertono a sbattere porte e vetri.

Si racconta di janare, lupi mannari, vampiri, demoni, anime, morticini, fantasmi, tarocchi, gatti neri, pipistrelli e zucche svuotate al cui interno brilla una candela. (Quelli della mia generazione ricorderanno certamente gli scherzi che da ragazzi facevamo con le zucche per spaventare i passanti).

Tipico di questo giorno è anche il raccogliersi al buio per raccontare storie spaventose del mondo dei morti e la sera prima lasciare le tavole imbandite per dare ristoro ai defunti in visita.

Si preparano piccoli torroni “morticielli”, probabilmente perché la forma, ricorda quella di una cassa da morto, ma vengono anche chiamati “muolli” parola che ne ricorda la consistenza.

A questo punto è d’obbligo parlarvi di un luogo misterioso, probabilmente sconosciuto a chi non è napoletano: il Cimitero delle fontanelle.

Un tempio straordinario “di storia, antropologia, spiritualità sacra e profana, nonché fonte di numerosi memorabili aneddoti legati all’anima mistica del popolo napoletano, caratterizzata da suggestivi aspetti di vita quotidiana”.

Si tratta di un ossario o fossa comune, così chiamato perché, trovandosi a valle sotto le colline di Materdei e di Capodimonte, quando diluviava venivano a formarsi grossi fiumi d’acqua. Secondo molti la sua creazione risale al XVI secolo, quando la città di Napoli fu flagellata da tre rivolte popolari, tre carestie, tre terremoti, cinque eruzioni del Vesuvio e tre epidemie. Qui vennero raccolti i cadaveri delle vittime. All’epoca i morti venivano interrati nelle chiese, dove però non c’era più posto, per cui i salmatari, di notte, li disseppellivano e li scaricavano nelle vecchie cave abbandonate.

E proprio di una cava di tufo si tratta. il Cimitero delle Fontanelle fu destinato a seppellire le salme della bassa popolazione, che non trovavano posto nelle pubbliche sepolture delle chiese all’interno della città. Tutti i morti furono quindi posti in questo luogo, soprattutto in occasione della triste epidemia di peste del 1656, che decimò la popolatissima Napoli (allora contava circa 400.000 abitanti), mietendo tra le 250.000 e le 300.000 vite (Quanta analogia ahimè con i nostri tragici giorni!).

Come Johann Wolfgang Goethe sosteneva nel suo diario di viaggio in Italia, “i napoletani rendono tutto visivo perché amano vedere”, attingendo il loro fervido estro inventivo a quella “spaventosa vitalità tipica del loro temperamento che li fa per natura recitanti”, e nel contempo “creatori, attori e spettatori dello stesso spettacolo”. “Dunque anche in un posto come questo si può scorgere il viso di Pulcinella, in questo caso non festante e allegro, ma piangente e serioso. Del resto questa è la rappresentazione completa della napoletanità, quella maschera allegra ma malinconica e assorta, ascoltatrice di una voce interna, segnata dall’esperienza del dolore, della perdita, della sconfitta”.

Il Cimitero delle fontanelle si trova nel rione Sanità, quello del celebre personaggio di Eduardo (“Il sindaco del rione Sanità”) che insegnava l’arte del pernacchio per rendere inoffensivi i rudi prepotenti. Dopo secoli di accumuli di ossa, a seguito di altre carestie ed epidemie, sul finire del XIX secolo, queste gallerie tufacee, dopo violenti e prolungati temporali, furono inondate da una imponente quantità d’acqua che trascinò e sparse per le strade un gran numero di resti mortali. Gli abitanti del rione non osavano uscire dalle proprie case per non subire l’umiliazione di dover riconoscere i propri cari.  A questo punto si rese necessario un riordino delle salme, portato a compimento dalla pietà popolare e dalle maestranze del rione che diedero al cimitero l’attuale assetto. Questa sistemazione è ricordata da una lapide marmorea collocata all’esterno della chiesa di Maria Santissima del Carmine, eretta alla fine dell’Ottocento dinanzi all’ingresso dell’ossario. La stragrande maggioranza dei resti è rimasta anonima, fatta eccezione di due salme, quella di Filippo Carafa, Conte di Cerreto dei Duchi di Maddaloni, morto il 17 luglio del 1797, e quella di Donna Margherita Petrucci, morta il 5 ottobre del 1795; entrambi i corpi si trovano in teche di vetro, il secondo in stato di mummificazione naturale, con la bocca spalancata. Questo ultimo particolare, secondo la voce del popolo, indica che la donna sia morta per strangolamento, forse per mano di un malfattore. Altre versioni invece danno la colpa ad uno gnocco che le si mise di traverso.

Il Camposanto delle Fontanelle è anche diventato nel tempo luogo di culto. Vi si svolgeva un particolare rito, detto delle “anime pezzentelle”, che prevedeva l’adozione e la sistemazione di un cranio, detto “capuzzella”, al quale corrispondeva un’anima abbandonata, “pezzentella” quindi, in cambio di protezione.

Per questo alcuni teschi sono adorni di fiori di carta o panno, pizzi e oggetti vari, depositati dai credenti nel corso delle visite di preghiera. Tra le tante personificazioni che la fantasia popolare ha creato in secoli di storia, sono da menzionare: Lucia, una giovinetta morta mentre fervevano i preparativi del suo matrimonio; il Monaco, chiamato anche “a capa è Pascale” (la testa di Pasquale), a cui si assegnava il potere di fornire numeri sicuramente vincenti al gioco del lotto; la testa del Capitano, figura emblematica delle Fontanelle, la vera star del cimitero, famoso per aver aiutato tantissimi devoti; donna Cuncetta, nota come “a capa ca cola surore” (la testa che cola sudore), vista la sua lucentezza, che sembra essere d’aiuto alle donne che desiderano avere un figlio. Un’attenzione particolare era riservata alle anime dei bambini, come quella di Pasqualino, detto “o’ Piccerillo”, intorno alle quali erano diffusi numerosi racconti teneri e benevoli. Ma le meraviglie del sacrario sono tante, e il visitatore non può mai dirsi al sicuro finché non vi si porta definitivamente fuori.

Le credenze legate alle Fontanelle potrebbero sembrare oggi lontanissime e irriverenti nei confronti dei morti lì accatastati. In realtà rappresentano da sempre un modo per riportare i defunti nella realtà dei vivi e prolungarne così la vita e la memoria. Proprio come potrebbe essere vista, da tutti coloro che hanno un’apertura mentale notevole, la festa di Halloween.


Gli articoli di “Napolitudine”

[catlist name=napolitudine numberposts=1000]