a cura di Antonio Esposito
Seicento – Anonimo o Vincenzo Bellini
Per Salvatore Di Giacomo era “la più bella, la più tenera, la più umana canzone…”. Fenesta ca lucive, una straziante aria presumibilmente scritta nel Seicento da un anonimo, ma secondo alcuni da Vincenzo Bellini, rielaborata e pubblicata da Guglielmo Cottrau nel 1843.
Come tutte le canzoni popolari dell’epoca, i dubbi sono superiori alle certezze. In questo caso alle diverse versioni del testo, giustificate dalla trasmissione orale, vanno aggiunti quelli riguardanti l’autore e l’origine.
La versione di Cottrau è certamente la più diffusa. Quella che generalmente ascoltiamo cantata da Roberto Murolo, Enrico Caruso, Luciano Pavarotti ecc.
Ma nel 1854, il tipografo editore Mariano Paolella pubblicò, su un foglio volante, una sua versione. Paolella sostenne di aver sentito cantare Fenesta ca lucive nelle strade di Napoli, dal popolo e di averne elaborata una sua personale versione.
In effetti vi aveva aggiunto anche del suo, perché il testo contiene due sestine in più rispetto alle tre di Cottrau, con dei nuovi contenuti.
Giuglielmo Cottrau, il francese napoletano
Guillame Cottrau, italianizzato in Guglielmo, era un editore e compositore francese, che rinunciò alla sua cittadinanza per assumere quella del Regno delle Due Sicilie.
Non godeva di buona fama tra gli addetti ai lavori perché si riteneva avesse l’abitudine di attribuirsi la paternità di opere di cui non era l’autore. Tra queste Fenesta ca lucive.
Accusa ritenuta in seguito doppiamente ingiusta. In primis perché quelle attribuzioni gliele aveva date il figlio Teodoro. In secondo luogo, perché c’è chi ipotizza l’opposto. Cioè che Guglielmo fosse lui a scrivere le canzoni che divulgava come provenienti da autori anonimi del passato.
Vincenzo Bellini autore di Fenesta ca lucive?
Tuttavia, nel caso di Fenesta ca lucive in molti hanno ritenuto, e ancora ritengono, che l’autore sia Vincenzo Bellini. Questa ipotesi fu avanzata da Salvatore Di Giacomo e diversi studiosi lo seguirono, ma si ritiene che il poeta sia partito da considerazioni inesatte.
Del resto, questa ipotesi pare sia venuta fuori solo alla metà del primo Novecento, mentre nessuno ne aveva parlato in precedenza.
Anzi, neanche uno dei suoi biografi aveva accennato a questa composizione e tanto meno uno dei suoi migliori amici, Francesco Florimo, che era molto attento alla produzione musicale del maestro catanese.
Comunque, come sempre in questi casi difficilmente il dubbio troverà una risposta. In effetti la differenza la fa la bellezza della canzone, che nell’immaginario collettivo deve essere necessariamente opera di un grandissimo autore.
La tragica vicenda della baronessa di Carini
Appare invece improbabile, che Fenesta ca lucive tragga ispirazione da una poesia siciliana del Seicento di Matteo di Ganci, che racconta la tragica vicenda della Baronessa di Carini.
La poesia si rifà ad una storia vera, anche se la narrazione e più romanzata e sentimentale.
La Baronessa Laura Lanza di Trabia aveva 14 anni, quando per volere del padre, andò in sposa a don Vincenzo La Grua-Talamanca.
Il tragico evento si verificò dopo vent’anni di matrimonio durante i quali la coppia aveva avuto otto figli. Ma in effetti non si trattò di un fulmine a ciel sereno.
Tra i coniugi non vi era mai stato una particolare vicinanza di idea né un grande interesse. Tant’è che la relazione con Ludovico Vernagallo, cugino di don Vincenzo, era iniziata già dopo due anni di matrimonio, quindi durava da ben 18 anni.
Per cui appare quanto meno strana la scoperta della tresca da parte del padre. Dovuta perdipiù alla delazione di un sacerdote. Comunque, il padre della Baronessa fece in modo da coglierli sul fatto ed ucciderli entrambi.
Improbabili origini siciliane di Fenesta ca lucive
Tuttavia, per quanto si possa accettare che la lirica durante il suo percorso “orale” tra la Sicilia e la Campania abbia subito delle alterazioni, appare molto forzato questo accostamento. Con tutta la buona volontà si fa fatica a cogliere i punti di contatto tra le due storie.
Infatti, in Fenesta ca lucive c’è un giovane che torna dopo un lungo periodo trascorso lontano da casa. Il suo primo pensiero è correre a riabbracciare la sua amata.
Ma mentre si avvicina alla casa della ragazza si accorge che la sua finestra, che abitualmente era illuminata, quella sera è buia.
Sente che è successo qualcosa di grave perché quella luce spenta significa che la sua amata non c’è. Angosciato corre verso la casa. Ma quando chiama, a quella finestra si affaccia la sorella della sua innamorata.
La sua amata è morta nella vana attesa
E la sorella gli dà la terribile notizia: «la tua amata è morta!» Lui rimane impietrito, non riesce a credere a quelle parole, ma la donna molto duramente gli conferma: «È morta e atterrata!».
Tuttavia, da quelle parole sconvolgenti traspare anche un atto d’accusa nei confronti dell’uomo. Perché è stato lontano per così tanto tempo? L’amore suo ha sofferto questa lontananza e non si dava pace.
Piangeva perché era costretta a dormire da sola. Ma adesso, è l’amaro commento della sorella, non deve più dolersi di questa solitudine, perché dorme insieme a tanti altri morti.
E come se non bastasse lo invita ad andare in chiesa, aprire la bara e vedere come è diventata la donna che tanto aveva amato.
Un’immagine macabra di un corpo in decomposizione e l’orrore di quella bocca dalla quale, prima uscivano parole profumate e adesso escono vermi.
Le immagini raccapriccianti di Baudelaire
Versi che richiamano quelli di Baudelaire in una poesia tratta da I fiori del male: Una carogna. Il titolo è già tutto un programma.
Il filo conduttore della narrazione è una passeggiata che il poeta fa con la sua fidanzata, durante la quale incontrano la carogna di una cagna in decomposizione.
Ma dopo le nove quartine iniziali, dove Baudelaire si esalta nella descrizione di tutti i particolari di quella scena orripilante, nelle ultime tre supera se stesso con dei versi inquietanti sul destino della ragazza.
Fenesta cara addio!
Più pietoso del poeta francese il protagonista di Fenesta ca lucive chiede al sacerdote di avere cura di quella tomba e di non farle mancare mai una luce.
Quindi un ultimo saluto alla finestra, che non vorrà vedere mai più per il triste ricordo che gli richiamerebbe. Anzi gli dice di restare chiusa per sempre, perché ora la sua bella non potrà mai più affacciarsi.
Lui di sicuro non passerà più per quella strada, e quando ne avrà voglia, andrà al cimitero a passeggiare. Fino al giorno in cui quella stessa morte che è stata tanto ingrata, ritornerà per accompagnarlo dove potrà riabbracciare l’amore suo.
Fonte : Napolinpillole , art. Enzo Abramo

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