a cura della Redazione Sportiva di Spazio Interattivo
La rivoluzione azzurra porta al timone Bernardini, poi affiancato da Bearzot. Non basterà per staccare un biglietto per la fase finale, dove Germania e Olanda arrivano col favore del pronostico. Sembra un epilogo già scritto, ma la squadra di Jezek riesce a sorprendere tutti.
Ha una protagonista annunciata, l’edizione numero cinque di una rassegna continentale ormai adulta e nobilitata dalla presenza di tutto il grande calcio d’Europa. La Germania Ovest, naturalmente, il cui curriculum recente è una sequenza ininterrotta di trionfi. Campione uscente, grazie al successo nell’edizione del ’72, ha messo sotto il mondo intero ai Mondiali del ’74, giocati sui campi di casa. Ma i favori del pronostico non arrivano per diritto acquisito. C’è soprattutto continuità, nella Germania che affronta la fase finale della rassegna continentale in Jugoslavia. Il gruppo è praticamente lo stesso che si è seduto due anni prima sul trono mondiale. Vecchi guerrieri che si chiamano Beckenbauer, Maier, Vogts, Wimmer, giovani certezze come Hoeness e Bonhof, confortati dall’anagrafe ma già da tempo nel gruppo, e dunque esperti come i “senatori”. Di uno di questi vecchi si sente la mancanza, inutile negarlo: difficile trovare il sostituto ideale per un bomber come Gerd Müller, uno nato con addosso l’istinto del gol. Il timoniere Helmut Schön lo sostituisce con il cannoniere del campionato tedesco Topmoller, che resta vittima di un incidente stradale proprio alla vigilia della fase finale. Il Ct, allora, gioca una carta nuova di zecca, buttando nella mischia il giovane centravanti del Colonia, Dieter Müller, che fa il suo debutto in Nazionale proprio nelle partite decisive in Jugoslavia.
Anche l’avversario da battere, a sentire le previsioni della vigilia, non è cambiato. L’Olanda del “calcio totale”, del pressing e dell’atletismo puro, ma anche l’Olanda fatta di campioni dal talento intramontabile e irripetibile. Uscita dal Mondiale tra gli applausi, soffre il distacco delle sue stelle più brillanti. Cruijff, Neeskens, Rep hanno lasciato i loro club e sono andati a giocare all’estero, ricevendo pesanti critiche in patria. Ma la corsa europea li riunisce. L’organizzazione del torneo continentale rispecchia quella del 1972: 32 squadre partecipanti divise in 8 gironi di qualificazione, da ognuno dei quali uscirà una protagonista dei quarti. Fase finale, appunto, in Jugoslavia, negli stadi di Belgrado e Zagabria, dal 16 al 20 giugno.
Il calcio azzurro ha voltato pagina dopo il fallimento dei mondiali ’74. Il vecchio nucleo dei “messicani” mostra la corda, bisogna rinnovare. Per farlo, Artemio Franchi chiama al posto di Valcareggi (già nell’agosto del ’74) un “ragazzo” di sessantotto primavere: Fulvio Bernardini, da sempre teorico della spettacolarità del calcio (dunque piuttosto critico nei confronti della gestione Valcareggi), si incarica di rifondare la Nazionale tenendo conto delle ventate di novità che dall’Olanda si propagano sul mondo del pallone. Sarà il Commissario Unico di tutte le Nazionali, coadiuvato da Enzo Bearzot per l’Under 23 e da Azeglio Vicini per l’Under 21.
L’esame di Bernardini è proprio la marcia di qualificazione agli Europei del ’76. Lui parte con un’adunata generale: tre partite di allenamento, nel settembre del ’74, nelle quali chiama a raccolta, in tutto, cinquanta- cinque giocatori, pescando anche in Serie B (Bertuzzo, Facchi, Pirazzini) e addirittura in C (Martelli, del Livorno). Nel marasma, perdono di vista il colore azzurro gli ultimi reduci da Messico ’70: se ne vanno uno dopo l’altro Burgnich, Mazzola, Rivera e Riva. Nella corsa europea l’Italia finisce nel gruppo V, con i fenomeni dell’Olanda, con la spigolosa Polonia e con la tranquilla Finlandia.
Al primo appuntamento gli azzurri arrivano dopo un poco convincente debutto con la Jugoslavia, in amichevole, a Zagabria. In campo c’è una squadra che è un mix di nuovo e antico, e che soprattutto non produce gioco: finisce 1 -0 per i padroni di casa.
La “prima” contro l’Olanda, a Rotterdam, va in scena il 20 novembre del ’74. Bernardini si illude di aver trovato il bandolo della matassa dopo un primo tempo ad alto livello, in cui brilla a centrocampo la stella del debuttante Antognoni, gioiello sbocciato nell’Under 23 di Bearzot. Ci pensa l’arbitro, il russo Kasakov, ad affossare le speranze azzurre. Negando due rigori a Boninsegna, atterrato da Rijsbergen, e convalidando il primo gol di Cruijff viziato dal fuorigioco dello stesso Cruijff e di Rensenbrink. Una prova che costerà al direttore di gara un pensionamento anticipato, e che per l’Italia si traduce in una corsa da subito in salita.
Le amichevoli non bastano a fugare i dubbi: né quella di fine anno con la Bulgaria a Genova, un pari senza gol e senza gioco, né le goleade con Norvegia e Stati Uniti. Le altre partite che contano dimostrano che la Nazionale di Bernardini ha perso il filo prima ancora di trovarlo: a Roma, il 19 aprile del ’75, finisce 0-0 con la Polonia. Meno di due mesi più tardi, a Helsinki, gli azzurri rimediano una vittoria affannata (la prima “ufficiale” della gestione Bernardini) contro la modesta Finlandia: 1-0, e Chinaglia passa solo su rigore, ma per quasi tutta la partita a tenere le redini del gioco sono proprio i finlandesi, e questo è un campanello d’allarme fin troppo evidente.Franchi decide di rinnovare: Bernardini diventa “Direttore delle squadre nazionali”, e in Nazionale lo affianca, con un ruolo “di paritaria collaborazione”, Bearzot. Stessa collocazione per Vicini nell’Under 23 e nell’Under 21.
Insomma, Bernardini supervisore e Bearzot in panchina. Ma la musica non cambia: la nuova gestione parte con lo 0-0 subito (è il caso di dirlo) dai dilettanti della Finlandia all’Olimpico. Naufragano le ultime speranze europee. Proprio quando la Nazionale cominciava a trovare un minimo d’identità: non serve lo 0-0, decisamente più convincente, di Varsavia contro la Polonia, né il successo del 22 novembre del ’75 all’Olimpico (1-0, gol di Capello) contro un’Olanda già qualificata, e conseguentemente appagata. L’Italia chiude il girone a un solo punto da Olanda e Polonia, finite a pari merito. L’Olanda passa ai quarti per la miglior differenza reti. Per gli azzurri, l’avventura europea è terminata.
FUORI L’INGHILTERRA
Non è l’unica vittima illustre, l’Italia di Bernardini e Bearzot. Non ha miglior sorte l’Inghilterra, che nel gruppo 1 si trova a fare i conti con una Cecoslovacchia che ancora pochi vedono nel ruolo di interessante “outsider”. Invece la squadra del Ct Vladislav Jezek viaggia forte. Perde la partita inaugurale (un secco 3-0 subito proprio dagli inglesi), ma nessuno immagina che quella sarà l’unica macchia sul suo cammino. Il girone, tanto per gradire, lo vince lasciandosi alle spalle non soltanto gli inglesi, ma anche un ambizioso Portogallo. Ai quarti, oltre a Olanda e Cecoslovacchia, approdano Spagna, Jugoslavia, Galles, Urss, Belgio, oltre, naturalmente, alla Germania Ovest, dominatrice del gruppo VIII.
In questa fase, la Cecoslovacchia fa un altro grande colpo battendo l’Urss (2-0 in casa, 2-2 fuori); la Jugoslavia supera, pur soffrendo (2-0 e 1-1) il Galles, la Germania Ovest fa lo stesso con la Spagna (1-1 e 2-0), l’Olanda spazza via il Belgio (5-0, 2-1).
Ai nastri di partenza della fase finale si presentano le quattro squadre che, pur con le loro pecurialità, rispecchiano meglio le nuove tendenze del calcio continentale. Le previsioni mettono ancora in prima fila Germania Ovest e Olanda, ma la Jugoslavia conta sul fattore campo e si comincia a fare un paio di conti sul cammino della Cecoslovacchia, che dalla sconfitta inaugurale di Wembley ha infilato soltanto risultati utili. Le partite della fase finale sono spettacolari e divertenti, nonostante si giochi su campi praticamente allagati a causa delle continue piogge che imperversano sulla Jugoslavia in quei giorni. Le squadre sono costrette a impegnarsi in autentiche battaglie, ma il pubblico mostra di apprezzare la virilità di una competizione che va oltre la tecnica e premia il sano agonismo.
Tutta l’opinione pubblica, come si è detto, pronostica la finale Olanda-Germania Ovest, ripetizione dell’epilogo mondiale di due anni addietro. Cecoslovacchia e Jugoslavia vengono relegate al ruolo di comparse. Invece, in semifinale la Cecoslovacchia riesce nell’ennesima impresa: piega l’Olanda ai supplementari e la mette fuori corsa. Nei tempi regolamentari fa tutto Ondrus, gol e autogol che riporta l’Olanda in parità. Poi, nel secondo tempo supplementare, risolvono Nehoda e Veseli: 3-1.
La Germania Ovest soffre contro la Jugoslavia, andando addirittura sotto di due gol dopo appena mezz’ora di gioco. Tocca a Flohe e Dieter Müller, alzatisi dalla panchina rispettivamente per Danner e Wimmer, rimettere i tedeschi in carreggiata. E nei supplementari finisce in gloria per il giovane bomber che ha preso il posto del vecchio, omonimo totem Gerd: doppietta del nuovo Müller, per il 4-2 finale. Risolto il problema del gol, niente sembra poter frenare i tedeschi, lanciati verso il bis dell’edizione precedente. Tanto più che l’Olanda è stata tolta di mezzo senza troppi complimenti dai cechi.
Nella finale per il terzo posto, come da copione per questa edizione, si va ai supplementari con la vittoria per 3-2 dell’Olanda sulla Jugoslavia, squadra sempre bella ma incompiuta, e a quanto pare colta da improvvisi black-out nei momenti decisivi. È un’Olanda comunque delusa, che si gioca il premio di consolazione facendo a meno dei “mercenari” Neeskens e Cruijff.
La Cecoslovacchia esulta portando a casa un trofeo probabilmente inatteso, ma vinto con merito dopo una partita epica e infinita. In quella squadra c’è tutto il “miracolo” di Jezek: il virtuosismo dei giocatori dell’Est, raramente sposato alla disciplina tattica, questa volta è stato incanalato dentro schemi che dal punto di vista della razionalità appaiono decisamente “occidentali”. In più, c’è da mettere in conto la grande condizione fisica dimostrata dai cechi, in grado di tenere il campo per tutti i novanta minuti, e anche di più quando le sorti di un’incontro si allungano. Ritmo e talento, forza del gruppo e individualità spiccate: quelle della Cecoslovacchia campione d’Europa si identificano nel vecchio numero uno Viktor, nel gigantesco libero Ondrus, nel cervello (e polmone) di centrocampo Pollak, nella punta fissa Nehoda che sa aprire spazi invitanti per i compagni che arrivano dalle fasce. Sul trono d’Europa, dunque, c’è una nuova regina. Che ha stravolto le previsioni, ma quel posto non l’ha certamente usurpato.
Fonti : Videostoriedicalcio , storiedicalcio