a cura della Redazione Sportiva di Spazio Interattivo


Avanti tutta

E tocca a noi, tra le palpi­tanti vicissitudini della nostra Nazionale, sor­teggi affidati alle mone­tine e ripetizioni di parti­te. Ma andiamo con ordine. Le squadre iscritte sono 31, divise in 8 gironi di qualificazio­ni da cui dovranno uscire le par­tecipanti alla fase finale. L’Italia, opposta a Svizzera, Cipro e Ro­mania, non incontra difficoltà e arriva a disputarsi, con gara di andata e ritorno, la fase finale contro la Bulgaria, convinta di potersi giocare le proprie carte fino in fondo, grazie all’apporto del pallone d’oro Rivera e del bomber Gigi Riva. A Sofia le cose non vanno be­ne, l’infortunio di Picchi crea pa­recchio imbarazzo nella difesa azzurra che subisce tre gol. L’Ita­lia comunque riesce a farne due, mostrando soprattutto la brillantezza di Domenghini e la puntua­lità di Prati, sempre ben rifinito da Rivera. Al San Paolo il discor­so qualificazione è chiuso con un perentorio 2-0, che legittima ap­pieno le credenziali degli azzurri. Sugli altri campi fa notizia l’e­liminazione dei vice-campioni del mondo della Germania Ovest, al­la loro prima partecipazione, ad opera di una sorprendente Jugo­slavia, e di una scomoda Albania, che costringe i bianchi a uno sto­rico 0-0 e li elimina dai giochi. Insieme all’Italia vanno avanti Inghilterra, Jugoslavia e Urss.

Moneta pesante

Il titolo, decide l’Uefa, verrà assegnato sui campi italiani, creando ancor più entusiasmo attorno alla formazione di Valcareggi, uomo giusto al posto giu­sto. Di lui, Mazzola dirà che «venne chiamato al vertice della Nazionale in un momento diffi­cilissimo, quando occorreva ripristinare serenità dentro un ambiente devastato dalle pole­miche. Lui non sbagliò una mos­sa».
Inghilterra e Urss sembrano alla portata, ma le preoccupazio­ni maggiori le crea l’inesplicabi­le Jugoslavia, mix di talento e forza fisica, sagacia tattica ed estro individuale.
In semifinale ci toccano i so­vietici, che col loro non gioco imbrigliano l’estro di Rivera e Mazzola e contengono le sfuria­te del generoso Domenghini. Anche l’Italia però non fa molto per vincere e si limita a batta­gliare a centrocampo, dove il no­do della partita ancora non si rie­sce a sciogliere. La partita sembra interminabile, gli spalti vivo­no con partecipazione i 120 mi­nuti di gioco, un palo di Domen­ghini ricaccia in gola l’urlo del San Paolo. L’arbitro tedesco Tschenscher pone fine alle osti­lità e chiama i capitani negli spo­gliatoi: la partita viene decisa con il verdetto della monetina, mentre un irreale silenzio accompagna dalle tribune la defi­nitiva sentenza.
Le leggende su quella giorna­ta si sono sprecate, negli anni, chiamando in causa San Genna­ro e gli equilibrismi mistici della moneta, sospinta nella rotazione dal pubblico finché l’amico te­desco non ha pronunciato “Italy”. Il resto della giornata è feste, colori e scie di scongiuri e cabale, oltre che la semifinale Inghilterra-Jugoslavia a Firenze.

Jugoslavia in finale

Alla forza fisica dei rimaneg­giati inglesi Campioni del Mon­do la Jugoslavia propone la bril­lantezza dei suoi talenti, in parti­colare del produttivo Dzaijc, sempre pronto sotto porta. Bobby Charlton non è in giornata, la Ju­goslavia gioca meglio, ma il gol non arriva. Quando il match sem­bra volgere ai supplementari, Dzaijc inventa il gol che vale la finale. Nella “finalina” gli inglesi hanno la meglio sull’Urss, ormai svuotata di stimoli e forze, se­gnando con Bobby Charlton e Hurst le due reti della vittoria.
I giorni che precedono la fina­le sono all’insegna delle parole soppesate e delle dichiarazioni tranquille dei protagonisti, anche se il tecnico Mitic non nasconde la fiducia riposta nei suoi, sbilan­ciandosi nel pronostico e dichia­rando che «sconfitti i migliori, mi sembra ovvio che adesso possia­mo tranquillamente ripeterci contro gli azzurri». Nell’Italia non c’è Rivera, infortunato, mentre Osim è il grande assente degli slavi. Valcareggi inserisce Anastasi per Maz­zola e il difensore Bercellino per Guarneri. Il dieci di Rivera va a Lodetti. La Jugoslavia conduce subito il gioco, rendendosi pericolosa e mettendo alle corde gli azzurri con un gioco fitto di trame e con gli spunti del bomber Dzajic, che gela l’Olimpico con un bel gol al 38′. La squadra azzurra così im­postata non piace, accusa le as­senze dei giocatori di maggior fantasia e Domenghini si ritrova ai margini del gioco, troppo in di­sparte su quella fascia dove non riesce ad avere i rifornimenti per prodursi nelle sue incontenibili volate, mentre in attacco né Prati né Anastasi trovano gli spazi per superare l’arcigna retroguardia degli avversari. Il gol stordisce gli azzurri, ma anche gli slavi, che invece di cercare il colpo del de­finitivo ko si mettono a giocare solo per far arrivare il novantesi­mo. Invece Domenghini su puni­zione indovina l’angolo giusto at­traverso un buco della barriera. Finisce 1-1 anche dopo i supplementari, la partita va ripetuta.

La rivoluzione di Zio Uccio

Due giorni infernali precedo­no la finale bis e Valcareggi vie­ne messo sotto accusa, tanto che nella ripetizione presenta cinque elementi nuovi: Riva, Salvadore, Rosato, De Sisti e Mazzola. Le due giornate saranno anche quelle dei grandi incoraggia­menti, del tifo innamorato della gente, oltre che un autentico supplizio per i protagonisti, lo­gorati dall’attesa snervante e sempre troppo lunga.
Ma sono i giorni dei più for­ti, di quei calciatori che sanno gestire i muscoli e le emozioni, che non si perdono troppo nei faccia a faccia con la storia, i momenti di chi vuole vincere ad ogni costo. E l’Italia-bis ha tutto questo, sembra un’altra squadra, meglio miscelata nella compo­nente fisica e in quella tecnica. Mazzola può giocare a tutto campo e Riva sgomitare per aprire gli spazi, mentre la manovra si articola in maniera più or­dinata e incisiva.
Non c’è storia: l’Italia domi­na, Riva e Anastasi diventano imprendibili dando all’Italia il ti­tolo di Campione d’Europa, non senza soffrire, come è nelle pre­rogative di un grande risultato. «Finché Anastasi (era il 31′, n.d.r.) non ha raddoppiato, face­vo fatica a credere di potercela fare, anche se vedevo che la squadra girava bene» disse a caldo Valcareggi, che condurrà poi la Nazionale al secondo gra­dino dei Mondiali dietro il gran­de Brasile di Pelé.

Fonti : storiedicalcio – wikipedia – calcioamarcord