di Guido Mancini


Veemente e tacito il morbo maledetto, che dell’umanità non ha rispetto, tolto ti ha il respiro e il cuore ha detto basta non devi più soffrire.

Il sussurro inatteso, un tuono a ciel sereno,
è una medicina amara intinta nel veleno;
lacrimano gli occhi, il cuore mi si stringe,
quel ciel volto al sereno di nero si dipinge.
 
Lesto va il pensiero: - cosa mai vi è stato!
Perché il brutto male l’ha presto divorato?
Sempre buono con tutti, tacito e cordiale,
eppur la triste sorte l’ha osato trattar male.
 
Né vi è ragione acconcia, tale da avallare 
che un prezzo così caro avesse da pagare,
né che, in tempo breve, ‘sta brutta malattia
prendesse il sopravvento portandoselo via. 

Ancor tenue speranza era nel mio pensiero,
ma è stato il sogno, un sogno menzognero.
Quel dì, quando sarà, che ci rincontreremo,
staremo sempre insieme, ci riabbracceremo.

Beato or tu sia con la mamma e con papà,
io pregherò per te affinché questo accadrà.
Con me terrò nel cuore tutti i ricordi belli
e soltanto la morte avrà a togliermi quelli.

Io ho pregato tanto ché ciò non accadesse
e supplicato Dio ché grazia mi concedesse.
Fortuna, alfin, hai avuto di essere assistito,
il desiderio che dai figli ti è stato esaudito.

In silenzio, da ‘sto mondo, te ne sei andato,
ma il celere distacco non era programmato.
Ora riposa in pace e proteggi noi quaggiù,
intercedi col Signore a ché non si soffra più.