di Antonio Esposito


Dietro l’opera di Giuseppe Capaldo si nasconde una straordinaria storia d’amore: Ogni volta che veniva respinto, creava una canzone immortale.
A cavallo tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio della prima guerra mondiale l’ Europa vive la Belle Époque (bella epoca). Abbiamo la pace finalmente nel vecchio continente non ci sono più guerre.
È periodo florido per l’arte e la cultura. Ma è soprattutto periodo di invenzioni straordinarie: le prime auto, i primi aerei, i primi treni. E l’illuminazione elettrica, la radio, il cinema, l’introduzione di prodotti chimici e petrolio.
Malattie che secoli affliggono gli esseri umani sono sconfitte. E Napoli? Nella nostra città, c’è una specie di magia, le note e i versi delle canzoni sembrano cadere giù dal cielo.
Un tempo di così intensa creatività poetica e musicale che anche la gente comune si scopre cantautore o poeta, come Vincenzo Russo, un umile commesso di un negozio di guanti che scrive ma scrive i versi di “‘I te vurria vasà“.
Salvatore Gambardella non ha mai studiato musica, ma riesce a scrivere la melodia la melodia di “‘O Marinariello“.
In questo periodo vengono alla luce le più grandi canzoni napoletane di sempre, e la maggioranza di queste, nascondo storie di vita vissuta, ne parleremo poi.

COMME FACETTE MAMMETA

Oggi vi voglio raccontare, la storia di: “Comme facette mammeta“. Canzone famosissima, tutti e dico tutti, l’hanno cantata o fischiata, tradotta in molte lingue, un motivo allegro che ispira simpatia già dalle prime note.
Ma tanta simpatia all’autore non la ispirò e vi dirò il perché’.
Siamo a Napoli nel 1906, l’autore della canzone e’ un cameriere, tale Giuseppe Capaldo.
Capaldo aveva conseguito la licenza elementare, in collegio, per volere del padre, quando tornò, si unì ai fratelli nell’attività di famiglia, e cominciò a servire ai tavoli. Il giovanotto si invaghì molto presto di una sua coetanea, una certa Vincenza, detta Vincenzella. Per lei scrisse “Comme facette mammeta“, invio’ al canzone, al comitato dei festeggiamenti per la Madonna del Carmine, e fu giudicata la migliore. Capaldo, felicissimo, si recò’ sotto alla finestra della giovane, ma Vincenzella, non aprì mai le finestre. Il dolore di Giuseppe aumentò quando il fratello maggiore, gli comunicò che avrebbe spostato lui Vincenzella, allora Capaldo, dovette lasciare l’osteria, poiché’ mal sopportava l’idea di dover convivere vicino alla donna amata.

OGNI VOLTA CHE VENIVA RESPINTO, CAPALDO CREAVA UNA CANZONE IMMORTALE

Nel 1918, trovò lavoro in quello che era uno dei tempi della canzone napoletana di allora il “Caffè Tripoli”.
In questo locale, lavorava una bellissima cassiera, ma molto scontrosa, e allora il giovane ci ricasca, si invaghisce di Brigida, così si chiamava la giovane, e per lei scrive “A’ TAZZA E’ CAFE’“, ma la cassiera lo respinge comunque. Un giorno mentre cantava “Comme facette mammeta” sul palco del caffè, un gruppo di clienti, chiese di conosce l’autore, si presentò il cameriere/cantante, loro sgomenti, non accettarono la presenza, affermando che un cameriere non potesse scrivere simili versi, il Capaldo, preso dall’ira’ lanciò in aria il vassoio, si spoglio dal grembiule ed esclamò: ”Da questo momento non sono più cameriere”.
L’anno dopo nel 1919, a causa di una nefrite, Giuseppe Capaldo moriva.

Fonte : Napolipiu’