a cura della Redazione “Fotografiaartistica” e di Giuseppe Santagata


La mia ambizione è stata sempre quella di mostrare la città quotidiana come se la scoprissimo per la prima volta… La notte non mostra le cose, suggerisce, disturba e sorprende con la sua stranezza“.

Gyula Halasz, in arte Brassaï, (soprannominato da Henry Miller “l’occhio di Parigi”) occupa un posto fondamentale nella storia della fotografia del XX secolo. Nato in Transilvania, a Brasov, da un docente di letteratura ungherese e una madre armena, arriva per la prima volta a Parigi all’età di tre anni. Qui, vive con la famiglia alcuni anni, prima di trasferirsi a Budapest. Dopo aver studiato pittura e scultura a Budapest, viene arruolato nell’esercito Austroungarico per combattere la Prima Guerra Mondiale. Finita la guerra va a vivere a Berlino, lavorando come giornalista e riprendendo gli studi all’Accademia delle Belle Arti.

Nel 1924 si trasferisce definitivamente a Parigi. A Montparnasse, immerso nella fervida atmosfera culturale del tempo, Brassaï trova lavoro come fotogiornalista presso la rivista Minotaure (avamposto del surrealismo) e si afferma in breve tempo come ritrattista ufficiale degli artisti legati alla rivista come Breton, Dalì, Giacometti, Picasso, ecc . Nel 1933, pubblica il suo primo libro “Paris de nuit”. Il libro consegue immediatamente un grande successo, soprattutto nell’ambiente artistico surrealista. Breton, lo invita ad unirsi al gruppo ufficiale, un’offerta che Brassaï rifiuta ripetutamente, in quanto legato ad un approccio diverso, nel costante obiettivo di oggettivazione del mondo esterno.

Nel 1956 il suo film Tant qu’il y aura des bêtes vince il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes. Nel 1978 vince il Premio internazionale di fotografia a Parigi. Ha scritto 17 libri e numerosi articoli, tra i quali, nel 1948, il romanzo Histoire de Marie, pubblicato con una introduzione di Henry Miller. Muore l’8 luglio 1984 a Èze, nelle Alpi marittime, il suo corpo viene sepolto nel cimitero di Montparnasse di Parigi.

PARIS DE NUIT

A partire dal 1930, Brassaï ha percorso Parigi, giorno e notte, con la sua macchina fotografica Bergheil della Voigtländer6 x 9 cm, con un obiettivo f/45. Da solo, o in compagnia dei suoi amici di Montparnasse, ha trascorso tutta la notte a osservare i luoghi e le persone che popolavano l’oscurità cittadina. Nel 1932, Lucien Vogel, direttore della rivista Vu con la quale Brassaï aveva precedentemente collaborato, lo presenta a Charles Peignot, direttore della prestigiosa rivista Arts et Métiers Graphics (Denoyelle, 1987). Da quell’incontro nasce il libro Paris de nuit, edito da Peignot nel dicembre del 1932.

In un viaggio visivo nella Parigi notturna, veniamo condotti attraverso luoghi famosi e monumenti, passando per i lavoratori della notte, i clochard e le prostitute. La maggior parte delle immagini di Brassaï sembrano essere avvolte nel mistero e caratterizzate da un carattere atemporale. La città che Brassaï ci mostra è difficile da riconoscere. Come Paul Morand scrive nella sua prefazione, la notte non è il negativo del giorno, il bianco delle fotografie diurne non si limita a scurirsi: semplicemente non sono le stesse immagini.

Per poter fare queste foto di notte, Brassaï scatta con lunghi tempi di esposizione, presumibilmente diversi minuti, la leggenda narra che il grande fotografo calcolasse il tempo di scatto in base al tempo che ci metteva a fumare una sigaretta Gauloises. Dopo gli scatti, Brassaï tornava nella sua camera presso l’Hôtel des Terrasses, dove, dentro una tenda, aveva armato una piccola camera oscura.

Utilizzando la sua formazione come pittore, Brassaï inquadrava in modo che le piccole aree di luce trapassassero le grandi aree d’ombra. La luce riflessa delle strade bagnate e diffusa dalla nebbia, definisce le forme all’interno del buio. Questo contrasto da’ una ricchezza e profondità alla stampa delle immagini. Per i soggetti in movimento, Brassaï aveva sviluppato un metodo con cui combinava la posa e l’istantanea. La posa permetteva di inserire l’elemento fisso nell’immagine, mentre gli elementi in movimento venivano fotografati tramite il flash di magnesio.

Il paesaggio urbano appare trasfigurato dalla lotta tra l’ombra e la luce. A causa delle lunghe esposizioni, le sorgenti luminose sono spesso trasformate in macchie bianche astratte, una sorta di metafora dell’energia luminosa che cerca di farsi largo. A questa astrazione corrisponde l’assenza di personaggi in quasi metà delle fotografie. La città sembra essere deserta. Parigi diventa allora un ambiente che si presta a molti scenari immaginari, tanto cari al movimento surrealista. Ma non solo, Brassaï si rivolge verso gli esclusi, i senza tetto che trovano rifugio nello spazio della strada. Con lo stesso senso di osservazione, si sforza ad illustrare i mestieri notturni. L’aspetto più sorprendente degli scatti interni di Brassaï è l’uso frequente degli specchi per espandere la scena che viene raffigurata. Brassaï aveva familiarità con l’opera di Friedrich Nietzsche.

Gli specchi consentono di dare una diversa prospettiva della scena, consentendo agli spettatori di avere altri occhi con cui vederla. Le immagini dell’occhio di Parigi hanno modificato la rappresentazione tradizionale di una città. Con sensibilità poetica lo sguardo di Brassaï ha reso visibile un’altra Parigi. Il suo lavoro ha lasciato in eredità immagini avvolte in un’atmosfera irreale, misteriosa, onirica, che abbandona il tempo per convertirsi in eternità.